22 ottobre 2016 – Giro in Giro

Ancora una volta l’appuntamento è all’area di servizio Ardeatina, ore otto e trenta, ma a quell’ora siamo già in cammino verso l’autostrada per L’Aquila.
Essere in ritardo per molti, moltissimi, è normale; in orario è da pochi o fatto casuale. Noi siamo sempre in anticipo, sistematicamente, perchè la frenesia di andare è una molla potente, ancora oggi dopo tanti anni.
Dunque, rifornimento e si parte.
Raccordo e quel poco di autostrada a ritmo allegro – vivace. Sul GRA le auto non sono poche, la cosa migliora ma non troppo sulla Roma – L’Aquila. Fortuna, come detto, solo pochi chilometri e poi usciamo a Vicovaro – Mandela per dirigerci all’usuale bar per la prima colazione.
Nel bar ho un deja-vu: clienti e baristi che invece di parlare, urlano. Il Mr si adegua e comincia ad urlare… ho vissuto questa stessa scena in Corsica, tanti anni fa!!!
Ci attardiamo, come al solito, in chiacchiere e cazzeggio, abbiamo tempo a sufficienza; siamo fuori del bar, fa freddino… constatazione che non ci impedisce di rimetterci in marcia.
L’obiettivo, oggi, è di andare a fotografare dei ragni che in questo stesso periodo trovammo a centinaia lungo la strada, ognuno con la propria ragnatela. Fu uno spettacolo emozionante, imprevisto; notai le ragnatele perchè percorrendo quel tratto di strada con il sole contro, le stesse formavano una sorta di merletto adagiato sui cespugli.
Purtroppo, nonostante fossimo nello stesso mese e nello stesso giorno della volta precedente, il fenomeno non si ripete.
Percorriamo questo tratto di strada a passo d’uomo – o duomo, perchè anche nel duomo si cammina piano-  fino ad arrivare al primo abitato. C’è un mercatino, ci fermiamo per una seconda colazione e poi ci facciamo un giro per le bancarelle.
Solita mercanzia, con qualche eccezione: patate enormi e un tizio che vende coltelli artigianali.
Ci rimettiamo in marcia, la temperatura è salita, di poco ma ora si sta bene.
Proseguiamo lungo la statale, oramai scansata dal traffico veloce che preferisce la superstrada. Sora, giretto per la città, rapido consulto e decidiamo di salire a Guarcino, che attraversiamo lentamente dato che nulla ci attrae tanto da richiedere una sosta. Il percorso da bello diventa superlativo, la strada tuttecurve ci porta fino a Subiaco, facciamo il giro del centro un paio di volte in cerca di un ristoro adeguato; nulla.
Uscendo dal paese ci imbattiamo in un locale pizzeria-trattoria-bar-pub. Invitante, ci fermiamo ed entriamo. Siamo fortunati, ad un costo irrisorio ci sbafiamo una ricca carbonara con i porcini, un piatto di patate arrosto ed una cicoria ripassata, con bruschetta. Acqua minerale, caffè e si riparte.
Ora non c’è molta storia, stancamente ci portiamo sulla Tiburtina e poi di nuovo sull’autostrada.
Si sta bene, temperatura ideale; panza, tutto sommato, se non piena almeno soddisfatta. Ad una velocità abbondantemente sotto i limiti di legge arriviamo al casello, ci salutiamo per poi immetterci nel solito delirio del GRA, dove abbiamo anche una conferma: “quando l’uomo con l’automobile incontra l’uomo con il camion della nettezza urbana, l’uomo con l’automobile è un uomo morto! O gravemente ferito…
Arrivare a casa è come per gli asini percorrere la strada per la stalla, quasi ad occhi chiusi.
Sono al box, prima di spegnere la moto uno sguardo al trip: 530 km, niente male per una passeggiata!

Ringrazio l’amico fratello omonimo MrSergio, compagno fedele e motociclista di provata affidabilità. Certe uscite sono memorabili grazie a compagni come lui.
Ci siamo lasciati con un obiettivo: a Novembre sarà tempo di una due giorni e, visto il periodo, saranno sicuramente i giorni del porcoddue!
Amici tutti, state alleprati!!!

11-12 giugno 2016 – Sibillini

Quante possono essere le strade che portano ai Sibillini partendo da Roma?
Tante? Poche? Una sola? Dipende dalla fantasia di ognuno.
Per questo giro noi abbiamo scelto una via lunga e faticosa, attraverso quattro regioni: Lazio, Abruzzo, Marche, ed Umbria.
Da un punto di vista motociclistico il miglior percorso da A a B raramente è quello più corto e veloce; nel rispetto di questo assioma, nel nostro gruppo abbiamo sempre privilegiato l’itinerario più sinuoso, panoramico e, se possibile, meno trafficato ma questa volta siamo andati oltre.

Settimane fa, su proposta del Mister, avevamo ipotizzato un giro a Castelluccio di Norcia, poi accantonato per una gita domenicale al Turano. Alla prima occasione ci siamo rifatti con gli interessi, avendo due giorni a disposizione li abbiamo sfruttati per un giro a più ampio orizzonte, restando a dormire fuori.
Un pazzo può fare danni, due in accordo non ne fanno il doppio ma assai di più, essendo il rapporto esponenziale:
“Ci vediamo alle otto”
“Facciamo alle sette”
“Partiamo subito e ci togliamo dalle scatole il tratto noioso? Faremo colazione in un posto sicuramente meglio dell’area di servizio del gra…”
“Bene, allora facciamo benzina e partiamo!”
E così è andata; certo, la voglia di partire per una due giorni mette sempre tanto entusiasmo e tanta euforia in corpo ma questo dialogo è solo apparentemente pervaso da inutile ed eccessiva enfasi, un fondo di logica invece ce l’ha!
Il meteo diceva che fino alle quattordici di sabato la situazione sarebbe stata nuvolosa ma asciutta, mentre dal primo pomeriggio sarebbe scesa acqua dal cielo. Allora, anche se poco o nullo è il condizionamento delle previsioni meteo nei confronti delle nostre iniziative, certo non ci sarebbe dispiaciuto affatto fare più strada possibile senza dover scomodare gli antipioggia. 

Partiamo, dunque, ancora prima delle sette: per taluni arrivare tardi è prassi mentre per altri è mancanza di rispetto; per noi arrivare puntuali è maleducazione! 🙂
Infatti siamo sempre all’appuntamento con largo anticipo.
Via, fuori dall’area di servizio, pochi chilometri di Raccordo e siamo sulla Roma-L’Aquila. Il tempo di allungare un pò la sesta e siamo all’uscita di Vicovaro; passato il casello ci dirigiamo al bar… aria ed aromi di paese, gente genuina e ruspante che sostituisce i frequentatori dell’area di servizio; nei pochi minuti passati in attesa dell’arrivo del mister ho contato, fra le varie famigliole in evidente assetto gitaiolo e squadre di operai diretti al lavoro, anche qualche tossico, un tipo che aveva scritto in fronte “io spaccio” e due mignotte che avevano appena timbrato il cartellino di fine turno.
Colazione e via; siamo in Abruzzo, ovviamente; alle otto meno dieci siamo a Carsoli e ci inerpichiamo per Pietrasecca, altri chilometri e di nuovo varchiamo il confine fra Abruzzo e Lazio. Lambiamo la valle in cui giace il Lago del Salto, ancora sonnolento ed avvolto nelle nebbie. Si sale, si sale ed eccoci di nuovo in Abruzzo; la strada è piacevolmente tortuosa, un pò viscida ma la nebbia si sta diradando, messa in soggezione da un sole sempre più baldanzoso.
Ho le gomme nuove, hanno fatto strada dal gommista a casa e fin qui, la moto scodinzola e sculetta come una signorina poco pratica sui tacchi a spillo… è opportuno non farla innervosire, tanto fra un pò le passerà e tornerà a viaggiare temeraria e leggiadra come con le scarpe da ginnastica. Il Mister procede, un pò rigido anche lui ma va avanti; noto che ha acquisito una maggiore ed evidente dimestichezza con i tracciati, se lo sprono ad aprire la strada non è per mia pigrizia ed i risultati si vedono, come fu a suo tempo per Freeblue, divenuto poi il mio ufficiale di rotta preferito.
Curve, curve, curve ma soprattutto natura incontaminata, profumi di piante selvatiche, odore di erba bagnata… Addirittura un camoscio saltella sul pendio a sinistra della strada, a pochi metri da noi. Il mister riprende tutto con la telecamera montata sul casco.
Siamo di nuovo in Abruzzo e continuiamo a salire verso Nord, lasciandoci L’Aquila al traverso di dritta, ed ecco finalmente la mitica SS80; passiamo a Sud di Campotosto, attraversiamo Ortolano stando bene attenti al cetriolo, arriviamo al bivio dove lasceremo la SS80. Ci fermiamo al bar, prendiamo un piccolo trancio di pizza accompagnato da bevande alcoliche da viaggio: noi, per comodità, quando siamo in moto sostituiamo l’alcol con le bollicine e dunque il nostro sollazzo etilico è soddisfatto da acqua minerale, cocacola o aranciata.
Usciti dal bar ci andiamo a sedere su un muretto al di la della strada, osservando un cane che, per niente spaventato dalle auto che passano, se la dorme beatamente in mezzo alla strada, al sole.
Il cartello al bivio, fra le altre località, indica TERAMO 30km… Sono le dieci in punto ed il Mister esterna una riflessione: “pensa che ci sono motociclisti che si danno appuntamento a quest’ora!” Replico: “Potremmo farlo anche noi… appuntamento alle dieci, ma a Teramo!”.
Le cazzate… basta dirne una che le altre sono come le ciliege. Il tempo tiene, noi anche e ci rimettiamo in marcia.
Se prima la strada era piacevolmente tortuosa ora diventa tortuosamente piacevole, una sorta di sadomaso. Noi non siamo estremisti della piega, nel senso che non andiamo a cercare in strada quello che invece sarebbe più opportuno -e giusto- trovare in pista ma ovviamente, com’è nella natura del motociclista, più curve ci sono e più ci arrapiamo.
Il fondo stradale non è per niente adatto agli intutati ed alle loro moto con i semi manubri posti poco al di sopra della ruota anteriore. Ed Il manto di asfalto diventa sempre più sconnesso e raro. Pane per le nostre GS maaa… qui ho conferma di ciò che sospettavo, un primo grosso difetto rilevato sulla mia moto: le sospensioni di serie non sono per niente all’altezza della situazione e di quello che potenzialmente potresti fare con questo mezzo. Meno male che, ancora nel dubbio, ero comunque già corso ai ripari: un paio di Ohlins viaggiano verso casa mia… Va bene, continuiamo; ci arrampichiamo verso Nord, verso l’alto geografico, come ragni che risalgono il filo, solo che il nostro non è per niente dritto.
E, curva dopo curva, siamo nelle Marche.
Curva dopo curva, ma quante ne abbiamo fatte?!? Sembra di essere sottoposti ad un testi di quelli che nei film fanno agli aspiranti astronauti, per vedere se dopo tanto girare riescono a camminare dritti!
Tenere in traiettoria la moto è veramente un’impresa, mancano pezzi di asfalto, il manto stradale sembra una sbriciolata al bitume! La strada è stretta, fra l’altro, e si aprono improvvise voragini a margine, che naturalmente è sempre quello verso il dirupo.
Ma è questo che ci eccita, il piacere di guidare in condizioni avverse, la consapevolezza che le nostre moto possono affrontare questi percorsi e che noi siamo in grado di guidarle in questi scenari. Lo spettacolo offerto dalla natura è unico! Ci sono rare casette immerse nel verde ed ogni tanto un villaggio di una decina di case o poco più. Arriviamo al dunque; ecco il tratto fuoristrada, che affrontiamo decisi. Mi arriva qualche sasso con su scritto “dono del mister”, temo per il faro senza protezione e per il cupolino, lo affianco per evitare danni ma lui si innervosisce come un cavallo, al quale urlo mentalmente “somaro, sei testardo come un mulo!”
Ha ragione, però… queste non sono  moto da cross, i danni possono essere rilevanti; il tracciato non è un semplice sterrato, parola generica usata da coloro che evidentemente poco sanno di fuoristrada. Questo non è percorso da guidare in piedi con il manico di scopa infilato nel culo come solo certi giessisti non hanno vergogna di fare.
Qui si fa sul serio! Sassi di varia grandezza e forma, fondo molto sconnesso, canali, curve e perfino tornanti. Qui se guidi in piedi rigido come un manichino ben presto vieni scalciato dal destriero. Si guida con attenzione, con la velocità giusta per far galleggiare la ruota anteriore, il peso spostato opportunamente, il culo sollevato da sella ma con le gambe piegate, a fare da ulteriore molla ammortizzante. Avambracci alti e polsi d’acciaio.
Questo è fuoristrada vero.
Alla fine della giostra, divertente ed emozionante anche se ha richiesto molta attenzione e fatica,  pur essendo stato sempre dietro fortunatamente non ho riportato danni, perchè ho sempre guidato in posizione diagonale rispetto al Mister, Qualche caccolona di fango però ha impreziosito l’anteriore della mia moto, in modo evidente sul parabrezza.
Alla fine della giostra siamo anche sulla SS4, un cartello bisbiglia in modo discreto che siamo a dieci chilometri da Ascoli Piceno, come ad avvertirci senza clamore che “ragazzi, Castelluccio è di là, state facendo un casino, non ci avete capito un cazzo con il percorso!”
Ringraziamo per il suggerimento e prendiamo verso Ovest, modo insolito di arrivare a Castelluccio partendo da Roma. Dopo il tratto di Salaria saliamo per Forca di Presta, panorama che neanche il miglior paesaggista olandese! Le nostre moto, invece, sembrano dipinte da un macchiaiolo, lavarle fra qualche giorno sarà un piacere immenso, “a rimembrar ardite gesta…”.
Eccoci in Umbria, a tratti si vede la cima del Vettore ancora innevata ma la Piana di Castelluccio è protagonista assoluta. Raggiungiamo la valle e per non farci mancare nulla ci imbattiamo in un paio di esemplari di imbecillivvuisti, ovvero di due imbecilli dotati di GS; questa categoria di umanoidi è trasversale, l’imbecille è equamente ripartito in tutte le categorie sociali, senza distinzione di ceto o religione.
Va bene, raggiungiamo Castelluccio e ci teniamo lontani dalla massa… Panini con salsiccia piccantina che doniamo ai nostri stomaci, dono che rende felice anche la gola.
Altro alcol da motociclista, due passi fino al bar sulla curva, acquisto di lenticchie e “fiaschetto” da parte di Sergio Junior e ci dirigiamo verso le moto. Ma al momento di partire, ecco l’acqua!
Antipioggia, via per la discesa, siamo a ventiquattro chilometri dalla meta ma arrivati al distributore già non piove più, solo acqua lontana portata dal vento.
Faccio il pieno alla moto e ripartiamo, altre curve in mezzo al verde ci portano a destinazione, un ex convitto adibito ad albergo.
E, tutto intorno, solo natura incontaminata.

Gentilissimi, all’albergo!
La ragazza alla reception capisce da pochissimi e blandi indizi -casco, stivali, abbigliamento tecnico- che siamo in moto e subito ci offre la possibilità di riporre le cavalcature “o sotto la tettoia o al chiuso”. Non so perchè, ma insieme rispondiamo “al chiuso”.
Se lo sono meritato… infaticabili, ci hanno sostenuto nella nostre folle corsa, prendendo buche, sassi, fango ed acqua, galoppando sul veloce e sullo sconnesso; cavalli affidabili e fedeli e, come tali, è giusto dare loro un riposo confortevole.
Per la cronaca, non sono neanche le diciassette!
Noi in camera, pulita e spaziosa, spartana ma dotata anche di frigo bar.
Doccia, sistemiamo le nostre cose, abiti civili -non che gli altri fossero incivili- e scendiamo.
Aperitivo, ci lasciamo ammaliare da uno spritz a testa, che viene accompagnato da un tagliere di tutto rispetto: salame, ciauscolo, prosciutto, formaggi e cipolline!
Espletata con tutta calma la pratica usciamo all’aperto. Non piove, ammiriamo il bel parco, i monti e gli alberi maestosi, un giro fino alla strada e torniamo indietro, comincia a fare frescolino…
Ci sediamo in uno dei saloni della struttura, in tivvù viene trasmessa una partita dell’europeo alla quale diamo poca importanza.
Fra una cosa e l’altra si fa l’ora di cena. Ci accomodiamo al ristorante; alcuni episodi, che non sto a narrare per pura decenza, ci fanno tracimare in una crisi di ilarità senza precedenti, non riusciamo a smettere di ridere…
La cena, niente di speciale ma pietanze buone e materia prima di qualità; ci consentiamo anche il dolce, visto che il giorno abbiamo fatto parecchio moto.
Altro passaggio ai divani, poi in camera, a vedere un rimasuglio di una partita dell’europeo.
Il sonno si appropria delle mie facoltà psico fisiche, annientandole. In quella pace, in quel silenzio assoluto faccio una prima tirata di circa cinque ore!
Al mattino successivo ci svegliamo alle sette, con moooolta calma facciamo quello che dobbiamo fare, prepariamo il misero bagaglio, ci vestiamo e scendiamo.
Sta piovendo, pioggia leggera ma intensa.
Colazione, poi saliamo nuovamente in camera a prendere le cose ed infine paghiamo e ci andiamo a riprendere le moto. Partiamo che sono le dieci, ci attende la discesa su Visso passando per altre amene località.  Fortunatamente quando saliamo in moto non piove più!
La statale della Valnerina è deserta, procediamo con ritmo sostenuto ma non esagerato.
Sosta ad un bar, giochiamo un pò con gli interfoni e poi di nuovo in sella, unica tirata passando per Cascia fino ad arrivare sotto Leonessa. Saliamo in paese, ci passiamo spesso ma senza mai entrare… bel posto, particolare, caratteristico, antico.
Scendiamo di nuovo a valle, vorremmo salire al Terminillo ma la strada è chiusa; la mitica 521 ci consente di aggirare l’ostacolo in modo egregio. Arriviamo alle porte di Rieti, falliamo l’ingresso di una strada e ci ritroviamo nel tunnel di tre chilometri, intubati e successivamente incanalati senza possibilità di tornare indietro. Proseguiamo sulla Salaria, poi uno dei miei soliti flash… mi accosto, chiedo al mister se, al punto in cui siamo, vuole rientrare diretto a casa.
La risposta, che non davo per scontata ma che avrei però gradito è un “NO!” talmente perentorio e deciso che mi entusiasma doppiamente.
Prendo la strada che avevo in mente, altre curve su curve, ci infiliamo in un tunnel nella vegetazione, saliscendi notevoli, ecco, dopo una mezz’ora siamo finalmente sul Monte Tancia.
Una passeggiata fino a Poggio Catino, sono le quattordici passate e ci fermiamo ad un bar-pizzeria sulla piazzetta. Trancio di pizza e minerale, caffè e ripartiamo. Ed inizia a piovere…
Il pensiero di doverci fare questo ultimo centinaio di chilometri sotto l’acqua non ci scompone, ma è ancora una volta un falso allarme… Mi vengono in mente le parole di Gassman/Peppe er Pantera nell’Audace colpo dei Soliti Ignoti: “… senza però che Giove Pluvio ponesse in atto la sua passeggera minaccia.”
Sosta al distributore e, arrivati a Passo Corese, infiliamo decisi l’autostrada.
In breve siamo alle porte di Roma e ci dividiamo, anche questa avventura è giunta al termine nel migliore dei modi.
Nel tratto Abruzzese abbiamo individuato un paio di posti per un bivacco, speriamo di poter elencare nell’album un nuovo GPAQ! L’alta quota c’è, dobbiamo provvedere al GP, che non è un gran premio… 😉

Ringrazio l’amico MrSergio che come sempre asseconda e sprona le mie fantasie motociclistiche, propositivo e positivo in ogni situazione.
Spero che gli altri possano presto rientrare nel giro, ne sento la mancanza.
E, intanto, la macchina babbaluca va avanti…

A presto, amici!

22 maggio 2016 – Il lago fra i monti

“Ho comprato anche la moto
usata ma tenuta bene
Ho fatto il pieno in autostrada
Prendo l’aria sulla faccia…
… Mare mare mare…”

Così canta Luca Carboni e descrive quasi alla perfezione l’essenza della domenica appena trascorsa in compagnia degli amici.
Quasi, perchè c’era la moto usata ma tenuta bene, c’erano il pieno in autostrada e l’aria sulla faccia, ma invece del mare c’è stato il lago.
La nostra meta era il Turano, gita leggera, un chilometraggio che di solito a noi serve per scaldare le moto e toglierci di dosso il torpore del sonno ed il profumo di lavanda delle lenzuola. Solita area di servizio sul Gra, colazione, pieno alle moto.
Abbiamo due new entries: Silvia, in veste motociclistica perchè di persona già la conosciamo, ed Enrico, introdotto dal Mister. Bell’acquisto, quasi mio coetaneo, un anno di differenza; bel motociclista, una GS Adventure rosso fuoco con evidente aria vissuta (bene), tanti chilometri all’attivo, concreto come piace a me. Anche un bel cazzaro, Babbaluco inside.
Silvia la presento per la prima volta su queste pagine: donzella spigliata, simpatica e molto carina, sa stare in gruppo e soprattutto, qualità eccelsa, non è una rompipalle. Ma le donne Babbaluche sono tutte così, o quasi: da Lucilla ad Annina, da Daniela a Silvia.
Se manca qualcuna è perchè l’ho dimenticata o perchè appartenente alla categoria “rompipalle” 🙂

Si parte, dunque. Breve tratto di raccordo e siamo sulla Flaminia. Ogni volta che imbocco una Consolare ringrazio i miei nonni Antichi Romani che hanno costruito queste meravigliose vie di comunicazione; come erano avanti! Avevano progettato queste strade pensando che un domani i motociclisti ne sarebbero stati felici, pur non esistendo ancora la motocicletta; esisteva però la biga, immortale ed intramontabile nei secoli e nei millenni… piaceva tanto ai nostri avi quanto piace a noi!  W LA BIGA!

La Flaminia ci guida fino a Rignano, dove la salutiamo per addentrarci nella campagna, verso la Riserva Naturale del Tevere; bella strada nel verde, fra campi e colline; peccato un pò sconnessa ma le tre GS davvero non ne risentono. Attraversiamo il Tevere e siamo nel cuore della Sabina; la Ternana ci fa guadagnare terreno verso Rieti, con un percorso poco frequentato dalle auto, che preferiscono vie più dirette e veloci; in una serie di saliscendi, con innumerevoli curve e qualche bel tornante, arriviamo al Valico di Fonte Cerreto. Foto, intervento idrico e si riparte.
Mentre guido penso che una notturna, qui, non ci starebbe niente male…
Arriviamo alle porte di Rieti, rituale danza nella quale i passi sono dettati dallo sfarfallio dei navigatori, ma in fondo si tratta solo di un giro di piazza: è vero che le mappe non sono aggiornate, è vero anche, però, che trovo un senso vietato che l’ultima volta non c’era; c’è invece un mini svincolo dove prima non potevi passare e se ti avesse visto il vigile ti avrebbe fatto la multa.
Cazzo, ce sò arrivati a capì che era cosa naturale, buona e giusta attraversare in quel punto!
Bene, siamo sul nostro percorso che si inerpica veloce con ripidi tornanti, di tutto rispetto, e dopo si distende come un serpente, sinuoso ma mai aspro nelle curve. Anche qui il fondo stradale, nonostante non sia una Consolare, risale al tempo degli Antichi Romani.
Anzi, no, perchè lo avessero fatto loro si sarebbe mantenuto meglio.
Però questo asfalto fa da deterrente agli intutati, che sfrecciano sulla Salaria e sulle salite per il Terminillo; meglio così! Le nostre sono le sole moto su questo tracciato.
Al piccolo trotto arriviamo a scollinare proprio sopra il lago; questa è una via ancora meno frequentata: merde assortite di mucca ed una panda con a bordo un burino sdentato, ma sorridente, sono gli unici indizi che anche qui c’è vita. Pochissime le case infrattate nella vegetazione.
La vista sul lago è spettacolare; come diceva Aristotele “in tutte le cose della natura esiste qualcosa di meraviglioso”  E’ vero, anche se il lago è artificiale il luogo è straordinario; la valle del Turano è una cartolina, con il lago ed i suoi paesi dipinti: Castel di Tora e Colle di Tora i più in vista, i più pittoreschi, appunto. E comunque qui una volta era tutto sommerso dalle acque del mare!
Dallo stomaco risale sommessa una vocina; percezioni sensitive alimentate da odore di brace, carne arrosto e profumo di rosmarini distraggono la mia vis poetica.
Siamo un’ora in anticipo rispetto all’ETA (Estimated Time Arrival nelle anse del mio cervello adibite alle mansioni lavorative)… l’andatura è veramente lenta, mirata a gustarci il magnifico paesaggio; più piano di così non si può andare ed oltretutto siamo a meno di venti chilometri dal nostro punto di ristoro.
Attraversiamo il ponte sul lago preceduti da un gruppo di Harley con lo scureggiofono a pieno volume… Se il rumore fosse direttamente proporzionale alla velocità queste moto dovrebbero fare trecentotrenta chilometri all’ora, ma in effetti non li fanno nemmeno in un giorno!
Avessi una Harley la vorrei silenziosa, ed un pensierino ce l’avevo pure fatto in passato. Ma sarebbe una seconda moto, comunque.
Arriviamo, salitone ripido ma proprio ripido ripido… Parcheggiamo, ci accomodiamo nella veranda sul lago intenzionati a prenderci un aperitivo ed invece, in breve, arrivano degli antipasti. Vabbè, pare brutto rifiutare… Il pranzetto scorre tranquillo, in armonia e simpatia; Enrico ci fa scompisciare con il racconto di una passeggera in panico su un volo per Londra; altre cazzate seguono; arriva un gruppetto al tavolo di fronte; uno dei tizi, e per me è odio a prima vista, con un cazzo di cappello che mai si leverà dalla testa, neanche per mangiare, prendendo posto dichiara ad alta voce “io sono mancino” ed Enrico ” e io sò Romanista”.
Bella performance, Erì! Parlando scopriamo di avere amici in comune, di uno di loro ne parlavamo nell’interfono io e Lucilla poco prima di arrivare… Coincidenze? Ci credo poco, sposo la tesi di Enrico che dice: “era scritto che io e te dovessimo incontrarci”.
Dopo il pranzetto ci andiamo a stravaccare sull’erba in riva al lago; mmmmhh, una discesella e successiva salita, in mezzo al verde, sassi, canali… evocano sapori di tempi passati ma mai dimenticati e Lucilla, conoscendomi e sapendo ciò che mi sta passando nella testa, mi ammonisce nell’interfono: “vedi de nun fatte pià la frenesia”.
Sto calmo, ovviamente non è il caso, non è la situazione giusta e neanche il contesto.
Stravaccati, dunque; si parla, ancora cazzate a profusione e poi si riparte.
Ripreso l’asfalto seguo il percorso disegnato dal Mister; bello, lo avevo studiato sulla carta, ma arrivato ad Orvinio, come spesso accade, mi prendo una licenza… per Licenza. Il manto stradale è ottimo, qui, le curve molto invitanti; la natura sempre meravigliosa. Nessuno suona, nessuno mi indica di riprendere l’altro percorso e vado avanti; unica sosta ad una fonte, per dissetarci.
Risalgo in sella con qualche difficoltà, il piede sinistro ancora non mi consente di spingere con forza e non riesco a tirare su la moto dal cavalletto laterale… ‘taccisua, quella stronza che mi ha causato tutto ciò mi riviene in mente e le mando l’ennesima maledizione alla Alex Drastico (prego madre natura di infradiciarti di grappoli di emorroidi… di farti sputare sangue una mattina …)
Va bene, lasciamo stare. Ripartiamo ed arrivati a Vicovaro ci consultiamo: prendiamo l’autostrada, la Tiburtina sarà incasinata e per niente attraente verso Tivoli; sono solo trenta chilometri di strada dritta, in fondo, che però ci agevolano parecchio nel rientro.
Qualcuno patisce la monotonia del tracciato e denuncia, sotto forma di capocciata al guidatore, il sopravvenuto abbiocco… Area servizio Colle Tasso, caffè (per me acqua minerale, grazie) saluti ed un appuntamento importante da rispettare: sabato sera a casa di Enrico per una Carbonara.
Signori, giù il cappello, questo è un gruppo di tutto rispetto; come è tradizione dei Babbaluci, in ogni periodo ogni singolo elemento che compone la squadra da sempre profonde il meglio di se stesso (quasi tutti). Lo standard è comunque elevato e mi fa sognare future (prossime) avventure con le chiappe incollate alle selle.

Grazie, amici, alla prossima!

scrivi @ Ulysse

La moto d’inverno.

di Ulysse

Prendendo spunto dalla nostra ultima due giorni, caratterizzata da pioggia, freddo e neve, sto riflettendo proprio sull’utilizzo della moto in inverno. In verità sono vecchi pensieri che ogni tanto tornano a galla ed allora provo a metterli in ordine.
Per i più andare in moto è un piacere che si coniuga con le cosiddette belle stagioni, primavera ed estate; magari altri possono prolungare l’attività fino ai giorni ancora tiepidi dell’autunno, ma non oltre. Pochi, invece, fanno parte della mia categoria, che usa la moto durante l’intero anno.
Prima di proseguire è bene focalizzare cosa si intende per “andare in moto”. Personalmente escludo gli spostamenti di necessità, quali recarsi al lavoro, fare commissioni, andarci al mare, fare una passeggiata la domenica mattina e cose così; per questo non bisogna per forza essere motociclisti, non si va in moto, si è semplici utenti di un mezzo a due ruote. Spesso per convenienza più che per passione.
Ovviamente sto esprimendo il mio punto di vista, che sicuramente sarà dissimile da molti altri perchè ognuno vede ed è libero di vedere la cosa a proprio modo.
Io per uscita in moto intendo qualcosa che possa avvicinarsi quanto più possibile ad un viaggio, anche fosse di un solo giorno; salire in sella mi deve dare la sensazione che sto partendo, non che sto andando a fare una passeggiata. I ritmi sono diversi, le percorrenze anche, la destinazione deve avere un perchè e la strada per arrivarci deve essere protagonista quanto e più della stessa meta. E le stagioni, il meteo, non esistono! La moto è totale nella più ampia accezione del temine: è totale perchè sicuramente deve saper affrontare qualunque stagione e (quasi) qualunque tipo di terreno ; dico quasi per l’ovvio motivo che con una moto “comune” non puoi dedicarti ad attività estreme come ad esempio il cross o l’enduro quello vero, dove è richiesto un mezzo specialistico. E’ totale perchè il suo impiego è dal primo gennaio al trentuno dicembre, senza interruzioni. In questo scenario l’utente del mezzo a due ruote si chiama appassionato, perchè è solo la passione che ti spinge ad andare oltre, a non volerti separare dalla tua moto neanche per una sola settimana all’anno.
Il freddo e la pioggia sono abituali compagni di viaggio delle escursioni invernali, ma al giorno d’oggi abbiamo protezioni ed abbigliamento che quarant’anni fa nemmeno eravamo in grado di sognare… allora sì che dovevi avere una passione smisurata per poter sopportare il freddo e l’acqua che ti entravano nelle ossa. Oggi è più facile, almeno per me che avendo sessanta anni ho vissuto le dure stagioni dei giacconi in pelle, spesso quei giacconi da tranviere che si rimediavano da zii o amici di tuo padre, che ti proteggevano dalle pietre ma non dagli agenti atmosferici… La cosa difficile è, invece, avere a disposizione persone animate dalla tua stessa passione, ma in questo sono abbastanza fortunato: nel nostro piccolo gruppo ci sono alcuni compagni che, seppur giovani, hanno saputo cogliere e coltivare l’essenza dell’essere motociclista: pensare ed agire da motociclista, non da persona che usa una moto.

Da un punto di vista tecnico non c’è molto da dire e non sono qui per dare lezioni di guida; l’esperienza deve essere tale da farti valutare ciò che è fattibile e ciò che invece è da evitare; andare in moto in inverno non deve significare andare in cerca di guai, ma cercare evitarli! La pioggia si gestisce, adeguando guida e velocità, pieghe e frenate; la centralina del nostro cervello deve entrare in azione prima di quella della moto, prima dell’abs; questi dispositivi intervengono quando si è già in una situazione critica, il nostro cervello invece deve attivarsi molto prima, proprio per evitare di trovarsi in questi frangenti. La neve non la si va a cercare; se capita, una spruzzata la si sopporta sia fisicamente che tecnicamente, ricordando quanto sopra; se la strada è già innevata ed inevitabilmente in qualche parte anche ghiacciata, entro i limiti del possibile è ancora possibile guidare.
I limiti del possibile, è proprio qui la chiave del successo: si deve essere consapevoli delle proprie capacità quanto dei vincoli imposti dall’ambiente, senza lasciarsi condizionare da euforia e ottimismo preconfezionato.
Tanto per fare un esempio: proprio in questa due giorni era nostra intenzione salire al Passo del Vestito, sulle Apuane. Durante l’avvicinamento la strada era già abbondantemente spruzzata di neve e nelle parti in ombra, ai limiti della carreggiata, c’era anche ghiaccio.
Camminando al centro ed evitando manovre brusche potevamo avanzare, piano ma in tutta sicurezza; arriviamo al bivio: la strada che saliva al valico era completamente bianca, immacolata, neve traslucida e ghiaccio. Qui abbiamo preso l’ovvia decisione: non saliremo al passo, l’obiettivo è fare un giro piacevole ed appagante, non battere qualche record o rischiare di rompersi l’osso del collo per tentare una impresa impossibile. Ed abbiamo vinto, ancora una volta… la strada alternativa saliva comunque ad una  forcella, era sempre innevata ma non proibitiva; ci siamo divertiti, abbiamo tuttavia compiuto una performance non usuale e non facile, grazie all’esperienza che ci ha consentito di affrontare ciò che era fattibile e rinunciare a ciò che invece era pericoloso.
Ovvio che fattibile e pericoloso non sono valori assoluti, ma in stretta relazione alle proprie possibilità; per molti fare la nostra strada sarebbe stato proibitivo, per altri – pochi 🙂 – ciò che noi abbiamo ritenuto impossibile sarebbe stato fattibile. Per me, se avessi avuto una moto da cross o una enduro/cross targata non ci sarebbero stati dubbi, ma avevo sotto le chiappe una GS, che può fare molto ma non tutto.

Sul piano emotivo, invece, c’è molto da dire.
La moto d’inverno è come il mare d’inverno: ritenuto incompatibile con la stagione, ma è semplicemente non adatto ai più. I motociclisti veri non sono fra la moltitudine, fanno parte di una casta ristretta di motociclisti alfa, dove è difficile trovare gli intutati da piega domenicale fuori luogo.
Un’uscita invernale, fatta con i compagni giusti, ha tutto un altro sapore che farla da soli; la condivisione in questi casi diventa complicità e la complicità è il miglior cemento per le amicizie, è il miglior condimento con il quale insaporire un evento, fin da quando si faceva sega a squola … si vede che non l’ho frequentata molto? 🙂
Sapendo che l’uscita sarà straordinaria, che sicuramente prenderemo acqua (la neve non era preventivata), che i chilometri saranno non pochi per questa stagione (novecentodieci in due giorni), l’ansia ha cominciato a farsi sentire da diversi giorni prima dell’uscita. Ansia positiva, ansia da partenza, quella che ti agita perchè non vedi l’ora di andare, nonostante i tanti anni e i tanti chilometri sulle spalle, perchè sai che hai un appuntamento con una piccola avventura, che stai andando a scrivere una pagina importante della tua storia personale, che è poi la storia del tuo piccolo gruppo. Soprattutto sai che in tutto questo avrai uno o più complici, che non devi convincere, semplicemente perchè sono come te, ragionano come te ed hanno la moto e l’amicizia nel sangue,  mischiati con i globuli rossi – o giallorossi -.
MrSergio, Freeblue, Jean quando si ricorda di essere Jean, la straordinaria Daniela, il lontano Jack… basta dirgli “andiamo” e sono pronti, salvo impegni improcrastinabili (come l’ho detto bene!). E la sera a cena l’atmosfera è diversa dal solito; ogni volta ci ritroviamo come in una tana nuova ma subito calda ed accogliente; è il nostro rifugio dopo la fatica e senti che questi amici sono animali della tua stessa specie, fratelli.
Tutto questo grazie ad un pò di pioggia, freddo ed una stagione che, dicono, non sia adatta alle moto.

21-22 novembre 2015 – I giorni del Porcoddue.

LE FOTO

Quella di quest’anno è stata la seconda edizione del Porcoddue.
Nome bizzarro per intitolare una uscita in moto, ma tutto ha un suo perchè.
E’ facile intuire che a novembre, essendo lontani sia dalle ultime vacanze che dalle prossime, il desiderio di fare qualcosa di importante in moto si unisca al desiderio di sfuggire alla routine quotidiana, che in questo periodo dell’anno ci ha oramai completamente fagocitati.
Superata la soglia di sopportazione, il desiderio diventa necessità e sgorga spontanea l’esclamazione “e porcoddue, mo basta!” . Un grido di angoscia e ribellione allo stesso tempo, che si concretizza in una uscita di due giorni senza stare a guardare il meteo, le convenienze, le convenzioni; l’unico motivo che ci spinge è il desiderio di andare, di passare del tempo insieme, noi e le moto.

Dopo aver aggiustato il tiro sulle date, e lo slittamento di un solo giorno non ha fatto altro che produrre ulteriore, positiva ansia da partenza, finalmente si va. MrSergio e Ulysse, avendo Freeblue rinunciato all’ultimo per comprensibili problematiche.
La volta precedente furono presenti MrSergio, Ulysse e Murdok; mmmmh, c’è del metodo in questa follia! Anzi, più che metodo come diceva il buon William, c’è una costante 🙂
L’appuntamento è dunque sabato mattina alle otto direttamente dopo Civitavecchia, laddove l’autostrada confluisce con l’Aurelia, al solito chiosco dei formaggi.
Io, che provengo dall’Aurelia, non riesco a raggiungere il sito, impedito da un dedalo di strade chiuse, nuove rotatorie, deviazioni e tratti incanalati. Stanno prolungando la strada veloce, si dice, fino a Grosseto e sono costretto a tirare dritto fino a Montalto; quattrocento metri prima del bivio c’è una area di servizio e mi fermo. Invio whatsup al mister, dopo aver provato invano a chiamare, ed aspetto, approfittando del bar per immettere ed espellere liquidi caldi.
MrSergio chiama, anche lui non riesce a fermarsi al punto prestabilito e così, ricevuta conferma sulla mia posizione, dopo non molto arriva.
Essendo entrambi in anticipo di circa mezz’ora sull’orario prestabilito, ci troviamo in perfetto orario nel ritardo causato dalla triste viabilità, e circa trenta chilometri più avanti… Cose da Babbaluci!
Si parte, proprio a Montalto di Castro avremmo, ed in effetti abbiamo, la deviazione del nostro itinerario dall’Aurelia alla Castrense. Qualche chilometro prima di Canino ci addentriamo nella Maremma Laziale: Manciano, Scansano e su, fino a Roselle; da qui, con un tratto di nove chilometri di superstrada, siamo a Montorsaio. Una sessantina di chilometri di curve si snodano fra campagna e sottobosco; il tracciato, veramente divertente anche se scivoloso, ci porta a Montieri. Durante questo tratto abbiamo indossato gli antipioggia; eravamo partiti asciutti ma il meteo ed il cielo concordavano: pioggia doveva essere e pioggia è! Il fatto non ci disturba, l’acqua di cielo è preventivata e caratterizza la porcoddue…
A Montieri ci fermiamo, un bar di paese molto accogliente e barista all’altezza della situazione ci accolgono! 🙂 Qualcosa di caldo; non sostiamo a lungo, presto si riparte e siamo di nuovo alle prese con curve e saliscendi su strada molto viscida. Il ritmo, pur con tutte le cautele del caso, è ottimo, e così ci beviamo, sempre sotto la pioggia, circa centottanta chilometri senza sosta alcuna.
Gli ultimi cinquanta chilometri sono stati sotto un diluvio universale, visibilità ridotta al minimo e per avere cognizione della strada, curve ed incroci, bisognava guardare il navigatore!
In queste condizioni è meglio non fermarsi, prima si arriva e meglio è, e così giungiamo a destinazione, Castelnuovo di Garfagnana, alle diciassette e trenta.
Parcheggiamo le moto davanti alla locanda e smontiamo di sella… sembriamo due lontre!
Prendiamo possesso della camera ma per non allagarla ci spogliamo nel corridoio, appendendo gli antipioggia ai termosifoni siti nello stesso corridoio e lasciamo qui anche gli stivali.
Lo strato sottostante è fortunatamente asciutto e possiamo continuare a spogliarci all’interno della camera. Trasferiamo poi, appendendole in bagno, le cose inzuppate ma in parte sgocciolate in corridoio; gli stivali trovano alloggio in un sembrafattapposta dietro la porta della camera. Bene, è l’agognato momento della doccia bollente!
In breve tempo siamo in condizioni di poter uscire, alla ricerca di un bar dove poter vedere la partita della Roma, che si rivelerà tutt’altro che entusiasmante. Consumiamo una quantità industriale di birre e stuzzichini vari durante i novanta minuti della partita e ci ritroviamo, alla fine, a pagare un conto irrisorio: otto euro a testa!
Torniamo alla locanda, sono le venti e trenta ed è il momento della cena… fame ne abbiamo poca, visto quello che abbiamo ingurgitato al bar, ma una cenetta ci sta tutta, se non altro per rinfrancare lo spirito in allegra compagnia. Il locale è grande, triste e vetusto; malgrado ciò ci troviamo in un ambiente familiare, gradevole e nonostante le cameriere siano ancora più tristi del locale… dopo cena andiamo in camera, la sgroppata in moto si fa sentire tutta: quattrocentoventi chilometri in condizioni non ideali, non facili; quasi tutto l’itinerario sotto l’acqua con l’aggravante finale del diluvio universale.
Infilati sotto le calde e confortevoli coperte, ambiente anche lui bello caldo grazie ai termosifoni accesi, guardiamo un pò di televisione scambiando due chiacchiere. Personalmente il sonno mi assale senza preavviso, anche al mister credo, perchè al mattino non ci ricordiamo neanche quali sono state le nostre ultime parole.

Domenica mattina, la notte è stata tranquilla, beata, un bel sonno ristoratore.
Alle sette e trenta cominciamo a ricomporre il misero bagaglio, ci vestiamo da motociclisti e scendendo per la colazione approfittiamo per portare le cose che vanno riposte nelle valigie.
Bella giornata, molto sole, ma un freddo boia!
La colazione non è pantagruelica, il giusto per poter affrontare la giornata.
Saliamo di nuovo in camera, prendiamo il resto delle cose, giacche e caschi, e scendiamo.
Paghiamo il conto della locanda, quota standard Babbaluca, e ci avviciniamo alle moto.
La sera precedente ci avevano detto che durante la notte avrebbe nevicato, in montagna, ed infatti un’auto parcheggiata davanti alle moto è carica di neve!
Partiamo, dopo aver fatto scaldare un pò i motori; facciamo la strada per salire al Passo del Vestito, umida, viscida, nei tratti in ombra anche ghiacciata. Isola Santa, foto di rito, si prosegue.
Arriviamo al bivio di Arni che già abbiamo percorso un bel tratto di strada innevata e qui dobbiamo prendere la saggia decisione: non saliremo al passo, condizioni proibitive!
La strada, da quella parte, sale repentinamente e ciò che si vede è incompatibile con queste moto e queste gomme, pur se guidate da gente temeraria ma non incosciente!
Continuiamo sulla provinciale, che comunque è una strada montana di tutto rispetto, anch’essa carica di neve e ghiaccio ma giudichiamo fattibile l’impresa dato che non si inerpica in modo così imperioso. Le modo scodinzolano allegre, la velocità è tale da poter avanzare in salita agevolmente e senza strappi ma non eccessiva da poter diventare non gestibile.
Progressione costante ed armonica, si impostano le curve “di culo”, spingendo sulla sella ed una leggerissima, dolce intraversata consente di immettersi nella giusta traiettoria.
Impieghiamo poco più di un’ora per completare i trenta e passa chilometri che ci portano a svalicare; la galleria del Cipollaio è ostruita per metà da un albero caduto presumibilmente durante la notte.
Passiamo utilizzando la carreggiata opposta,  con la dovuta prudenza; siamo fuori, si inizia a scendere, neve e ghiaccio ancora presenti ma si diradano man mano che la quota diminuisce.
Arriviamo in paese, dopo un bel tratto di strada sinuoso e caratterizzato da un panorama bucolico.
Un bar pasticceria, bella sosta con cappuccino e qualcosa di solido; al calduccio decidiamo quale percorso intraprendere per ritornare a casa.
Seguendo strade interne arriviamo a Lucca e da qui proseguiamo per Fucecchio e Siena. Arriviamo ad Arbia dopo centottantuno chilometri e tre ore e trenta no stop!
Altro bar, panino e via. Strada a dir poco spettacolare: Asciano ed oltre fino ad arrivare ad incrociare la Cassia, asfalto pulito ed asciutto, curve da GP, ottimo grip; il ritmo è ora baldanzoso, più che Garibaldino! La Cassia, proseguiamo ma ben presto ci troviamo alle prese con l’interruzione che ci fa deviare per Radicofani, dopo aver cercato invano strade alternative.
Giunti al bivio di Radicofani decidiamo di separarci: al Mister viene più comodo e veloce andare a prendere l’autostrada a Chiusi, io preferisco proseguire sulla Cassia, per Acquapendente e poi la deviazione che mi porterà di nuovo a Montalto di Castro. Qui il delirio di corsie alternate mi conduce sull’autostrada di Civitavecchia ed in breve sono a casa. Ma gli ultimi sessanta chilometri me li sono fatti di nuovo sotto l’acqua! Non mi sono neanche fermato ad indossare l’antipioggia per arrivare prima possibile. Io ed il Mister arriviamo alle rispettive magioni più o meno allo stesso orario, mossa vincente. Altri duecento trenta chilometri senza alcuna sosta, ed oggi sono stati quattrocentottanta.
Mi cambio nel box, sistemo la moto e rientro a casa, stanco, infreddolito ma decisamente felice.

Relegare il racconto della porcoddue ad un mero resoconto di itinerari ed orari è riduttivo.
Le difficoltà, la pioggia, il freddo, la neve, l’impresa non usuale di andare in moto in questi giorni e su questi percorsi richiedono degli ingredienti base: passione e complicità, cose che si possono condividere solo con gli amici più intimi, sinceri.
Allora la fredda cronistoria diventa un qualcosa di profondo, l’uscita in moto diventa occasione per fare introspezione. La pioggia fuori del casco aggiunge uno strato in più alla coltre che solitamente ed idealmente ci separa dal resto del mondo, che osserviamo non visti, ed in questi frangenti mi capita di dare risposte a domande che mi si ripropongono da tempo, in questo buio fitto riesco a fare luce.
Inoltre, la complicità rende speciali le amicizie; ricordo con tenerezza e gioia imprese in tenerà età e gli amici di quel tempo, perchè la complicità in quelle scorribande e malefatte da ragazzi è stato un marchio che ci ha contraddistinto ed unito. Oggi è ancora così, avere un amico complice per fare qualcosa fuori dagli schemi rende speciali la stessa amicizia e la situazione condivisa.
Da un punto di vista motociclistico, invece, posso dire che oggi come oggi cercare l’avventura come trenta o quaranta anni fa, per me, è improponibile, perchè di avventuroso, sconosciuto e misterioso è rimasto ben poco. I grandi viaggi in moto non si possono fare tutti i giorni e neanche una volta l’anno, forse una volta o due nella vita ed anche qui, fra organizzazioni, assistenze al seguito, trasferimenti in aereo ed alberghi, di avventuroso non c’è nulla.
Così la vera avventura è portare a compimento una impresa anche piccola, ma rispettando orari e percorsi programmati nonostante il meteo avverso, le strade interrotte e le difficoltà varie.
E senza dover discutere, andare in contrasto con l’amico o gli amici, ma ritrovarsi la sera a cena soddisfatti e sereni perchè insieme, con complicità, abbiamo alzato ancora una volta il livello tecnico, abbiamo accumulato altra esperienza ed abbiamo vissuto momenti speciali insieme.
Questa è la porcoddue!