Ci pensavamo da tempo.
In genere le nostre uscite si svolgono nei fine settimana, ma da un pò di tempo con MrSergio avevamo una idea: spesso i problemi, ma anche la semplice routine quotidiana, ci portano a raggiungere il punto di saturazione e serve una valvola di sfogo che possa prevenire la deflagrazione delle p… parti anatomiche maschili; e quale migliore sfogo, quale migliore cura che ritagliarsi un paio di giorni, radunare qualche amico, prendere le moto e andare? Si, lo sappiamo cari amici maschi, che conoscete tutti un rimedio migliore, ma una moto la si può cavalcare per ore ed ore, per più giorni consecutivi e fra una cavalcata e l’altra RESTA MUTA!
Purtroppo la controindicazione di queste uscite infrasettimanali ed estemporanee è che non tutti riescono mettere insieme un paio di giorni liberi consecutivi, così il gruppetto è davvero esiguo: Murdok, MrSergio e Ulysse.
A dire il vero si sarebbe unita anche Donna Flò, ma le pessime previsioni meteo, il ritmo che sapevamo sarebbe stato serrato ed altre cosucce hanno fatto prevalere il buon senso.
Appuntamento alle sette e trenta sull’Aurelia, subito dopo la fine della Roma Civitavecchia.
Arrivo alle sette e cinque, appena il tempo di scendere dalla moto, sfilarmi casco e guanti che ecco arrivare Murdok e MrSergio… Senza indugi ci mettiamo in marcia, ci fermeremo al primo bar per la rituale e necessaria colazione.
Il primo bar, il primo che ci andasse bene, lo incontriamo a Tuscania; avevamo fatto anche un giro all’interno delle mura del borgo, ma era tutto chiuso. Con tutta calma ci gustiamo una buonissima colazione e la simpatia della bar(wo)man, simpatia anche a livello fisico 🙂
In moto, si parte; abbiamo scelto un percorso abbastanza diretto, ovviamente su strade “categoria moto”. Se poi il meteo lo consentirà avremo modo di allungarlo strada facendo.
Ci reputiamo già fortunati ad essere partiti all’asciutto, ma quanto durerà? Nei giorni precedenti la pioggia era stata incessante e le previsioni erano le peggiori possibili, con le cartine piene zeppe di nuvole nere e goccioloni.
Raggiungiamo San Lorenzo Nuovo, dove ci immettiamo sulla Cassia, quella bella, che percorriamo per un bel tratto prima di svicolare per strade interne molto più sinuose, le quali ci portano a Montevarchi passando anche per Asciano ed altri posti ameni.
Qui avremmo voluto evitare i semafori ed il poco gradevole attraversamento urbano, preferendo un indolore tratto di autostrada di circa venti chilometri, ma strade interrotte e deviazioni improbabili alle stesse ci consigliano di tirare dritto per Figline Valdarno, cavandocela con qualche minuto di inevitabile traffico.
La strada, ora, è molto piacevole e risaliamo il corso dell’Arno fino a Pontassieve. I cartelli che indicano il passo della Consuma evocano giorni gloriosi e non tanto lontani, giorni in cui abbiamo scritto altre pagine importanti della storia dei Babbaluci. E non piove!
Abbiamo macinato chilometri, con una sola sosta dopo la colazione.
Alla partenza avevo detto ai miei compagni che avremmo pranzato in un certo posto se, ovviamente, ci fossimo arrivati all’ora appropriata… le tredici e zero tre ci sembrava l’ora appropriata 🙂
Così in luogo di freddi, seppur ottimi, panini con prosciutto ed altri salumi, dato che i suddetti avremmo dovuto consumarli all’aperto con una temperatura ed una umidità non certo primaverili, dato che l’occasione non si sarebbe ripresentata certo a breve termine, data l’occasione ancor più rara di aver trovato un tavolo libero senza prenotazione, abbiamo deliberato che era meglio sederci e mangiare qualcosa di caldo.
Servizio impeccabile e velocissimo: il tempo di svestire l’armatura, di fare “un saltino in bagno” e tre fumanti piatti di tortelli alle patate, conditi con ragù, erano in tavola; a seguire un gustosissimo carciofone per MrSergio mentre io e Murdok preferiamo dei porcini fritti… una bontà divina, degno prosieguo dopo cotanti tortelli.
Ben tre bottiglie di acqua minerale d’annata, focaccia e pane, caffè… quindici euro a testa, prego.
Due chiacchiere fuori dell’osteria; la mia sensazione ha sapore d’antico, di quando i viaggiatori sostavano presso le stazioni di posta per rifocillarsi, riposarsi e riscaldarsi nella stagione fredda; so cosa provavano fisicamente; l’aver viaggiato in groppa alle nostre cavalle da sella, esposti al freddo ed alle intemperie; l’osteria, con i tavoli vecchi e consunti, dove c’erano più ombre che luci; l’atmosfera fatta di voci soffuse; il contatto gomito a gomito con altri commensali; il poter parlare senza dover urlare, hanno contribuito a far nascere nella mente questa analogia fra il moderno motociclista e l’antico viandante.
Anche senza andare così indietro nel tempo e restando nell’ambito delle cose concrete, conosciute di persona, mi vengono in mente ricordi comunque lontani, di quando ero fanciullo ed ascoltavo i racconti dei motociclisti di famiglia, mio padre, mio nonno ed i miei zii… strade tortuose e non per scelta, quelle c’erano; fatica, oggi decisamente meno, e le soste presso le osterie tenendo ben presente che a quell’epoca non si usava pasteggiare ad acqua minerale, neanche se stavi viaggiando in moto.
Riprendiamo il cammino, le cavalle si sono riposate anche loro; dobbiamo salire per Borgo San Lorenzo e poi San Piero a Sieve, dove decideremo se andare dritti a Firenzuola, nostra destinazione, salendo per il passo del Giogo di Scarperia o allungare per la Futa e la Raticosa, passando poi per Colle di Canda ed il Sasso di San Zenobi. La differenza fra i due percorsi è di circa quaranta chilometri da San Piero, un’oretta di tempo in più considerando le soste foto ai passi ed al Sasso. Arrivati a San Piero la decisione è a favore della Futa e compagnia bella, dato che non piove.
Direzione Barberino, dunque, ed in breve ci troviamo sui tornanti della Futa. Salendo ai novecentotre metri del Passo della Futa ci infiliamo in una nuvola; non è proprio pioggia ma acqua vaporizzata che ci ammanta come rugiada, se vogliamo essere poetici, oppure in modo più prosaico, “stamo naaa guazza”… Bagnati, comunque, ma in modo delicato, quasi non ce ne accorgiamo.
Scendiamo dalla Futa e la nuvola si dirada, regalandoci scenari dai colori vividi e ben definiti; la strada è bagnata ed un pò viscida, ma da sopra non arriva acqua, almeno.
Lo scenario si ripete, però, in prossimità della Raticosa, 968 metri, e rimane tale perchè non si scende, anzi: al Colle di Canda siamo addirittura sopra i milleccento metri ed al Sasso di San Zenobi a ottocento settanta.
Dopo il Sasso si scende per Firenzuola e di nuovo siamo in un ambiente asciutto sopra e bagnato sotto… evidentemente la pioggia vera ci precede di poco, e meno male!
La strada per Firenzuola non prevede rettilinei, di nessuna lunghezza! Le curve si raccordano l’una all’altra ed i tornanti sono in abbondanza. Molto divertente, anche se bisogna guidare con la massima attenzione e prevenire possibili scivolate della ruota anteriore… le dita della sinistra sono ancorate alla frizione, pronte ad intervenire al minimo scarto della cavalla.
Finalmente arriviamo a Firenzuola. Parcheggiamo le moto, ci infiliamo nel bar di fianco all’albergo per una tazza di cioccolata calda; ancora due chiacchiere in santa pace e poi prendiamo possesso delle camere, in realtà un appartamentino molto grazioso, fatto di tre stanze ed un grande bagno; una terrazza affacciata sulla piazza completa la planimetria della nostra dimora; sulla terrazza c’è anche una porticina di ferro che da accesso al locale dei boiler dell’acqua calda, locale molto caldo; costruire uno stenditoio di fortuna è un attimo, avvalendomi delle fettucce e dei moschettoni che mi porto sempre appresso… et voilà, abbiamo a disposizione un bell’asciugatoio ad uso esclusivo dei Babbaluci: giacche, pantaloni e guanti trovano un caldo giaciglio per la notte.
Noi ci facciamo una doccia calda e poi, dopo un pò di cazzeggio, scendiamo a fare due passi.
Ceniamo presto, verso le otto e venti; cibo squisito, un chianti profumato e delicato, un dolcetto, un pò, ma poca poca, degustazione etilica post pasto ed il gioco è fatto.
Ci fermiamo a parlare con la gentile proprietaria dell’albergo; paghiamo anche il conto in quanto la mattina presto lei non ci sarà e saliamo in camera, non senza aver distribuito carezze allo splendido setter che girovaga dentro e fuori il locale.
Si va a dormire, è quasi mezzanotte, la giornata è stata faticosa e domani avremo ancora più chilometri da fare.
E il domani arriva dopo un bel sonno ristoratore, nel silenzio più assoluto, una pace vera.
Scendiamo, io e Jean leghiamo le sacche impermeabili sulle rispettive selle mentre MrSergio infila la borsa nella valigia della moto.
Colazione al “solito bar” e si parte. Poche centinaia di metri e facciamo il pieno, lubrifichiamo anche le catene con il piccolo spray che ho infilato nella minuscola borsa da serbatoio.
La Montanara Imolese è tutta nostra, non gira un’anima. Incrociamo due o tre camion subito dopo Firenzuola e poi nulla più.
Lasciamo la Imolese e saliamo per il Valico del Paretaio, a novecentocinquanta metri. Scena già vista: salendo siamo avvolti dalla nuvola, vista appannata e acqua impalpabile.
Dietro una curva abbiamo la sorpresa di vedere un giovane capriolo che attraversa la strada, salta un cespuglio, finisce in un fosso a gambe all’aria e, appunto, con una magistrale capriola salta fuori e corre su per il pendio.
E’ emozionante vedere questi animali in libertà; dopo qualche altra curva lo spettacolo che ci si presenta è di genere opposto: una sfilza di suv e fuoristrada parcheggiati a bordo strada o sull’erba ed un cartello che indica una battuta di caccia al cinghiale; la speranza è che non trovando il cinghiale non si sfoghino sparando a tutto ciò che si muove.
Andiamo avanti, il posto è veramente selvaggio; lasciate le poche case all’inizio della salita non incontriamo altri insediamenti umani, neanche auto né tanto meno moto.
Dopo il passo inizia la lunga e tortuosa discesa che ci porta a Palazzuolo sul Senio.
Non ci fermiamo, infilando subito la strada per il Passo della Sambuca. Oramai sappiamo cosa ci aspetta ed infatti dopo un pò di salita siamo nuovamente nell’atmosfera ovattata, intima e umida con la quale arriviamo al passo. Le foto, ovviamente, e si riprende la via. Ma questa volta non abbiamo il beneficio della discesa, con la quale ritrovare visibilità ed aria asciutta; dal Passo della Sambuca, mille e ottanta metri, nella direzione da noi percorsa si scende pochissimo, solo un breve falsopiano in discesa e poi si riprende a salire ai mille e trentasei metri del Prato all’Albero; da qui altra breve discesa e nuovamente siamo oltre i novecento metri del Passo della Colla. Dunque, stavolta, abbiamo inanellato tre valichi restando nella coltre grigia.
Ma è bello! Siamo solo noi, unica moto incontrata finora al Passo della Colla.
Certo, la strada spesso è viscida e bisogna guidare con attenzione; anche se siamo letteralmente con la testa fra le nuvole siamo molto attenti e tutto procede per il meglio.
Si scende per Marradi, affascinante lo spettacolo del fiume Lamone che scorre fra rocce e salti, laggiù in fondo; la strada corre al suo fianco ma parecchi metri più in alto. Ecco, ci siamo: prendiamo la deviazione che, attraverso un paesaggio selvaggio e non molto frequentato, ci porta a svalicare prima il Passo dell’Eremo e poi il Passo della Peschiera; lo scopo, oltre che ammirare la bellezza dei luoghi attraversati da questo tratto del nostro percorso, è di arrivare velocemente a San Benedetto in Alpe per poi salire al Passo del Muraglione. La discesa su San Benedetto non è facile; non lo è normalmente, con strada asciutta, a causa dei numerosi tornanti strettissimi in ripida discesa; con fondo bagnato e foglie a terra c’è da stare veramente all’erta! Ma siamo Babbaluci, diciamo molte cazzate ma in moto non ne facciamo.
Prendiamo dunque la SS67 e saliamo al Muraglione, dove ci fermiamo per le foto di rito.
Mi fermo, scendo dalla moto, mi volto ed un deja vu mi fa vacillare: Jean disteso sull’erboso pendio di fronte al cartello del passo, tuta e casco neri, gambe e braccia aperte a quattro di spade… Una scena vissuta qui nel duemila e otto!!! Quanta strada abbiamo fatto da allora…
Altre foto al Muraglione vero e proprio e si scende a briglia sciolta su Dicomano. Qui facciamo il punto della situazione: sono le dodici e trenta, non ci conviene mangiare ora e spezzare il ritmo; proseguiamo per il Passo di Croce ai Mori.
La salita è velocissima, la strada è asciutta e sta addirittura uscendo il sole; neanche ci fermiamo al valico per la solita foto, perchè MANCANO I CARTELLI!
Scendiamo altrettanto velocemente, forse anche più di come eravamo saliti, tagliamo una parte del percorso che ci avrebbe portato a Camaldoli e poi a Badia Prataglia e procediamo per Poppi e Bibbiena, dove arriviamo alle quattordici circa.
Ci infiliamo in una tavola calda, un piatto di pasta, due chiacchiere e poco dopo le quindici siamo di nuovo in sella.
Procederemo con la statale verso Arezzo e Sinalunga, dove prenderemo la Cassia per tornare a casa.
C’è il sole, si viaggia bene, il traffico sulla statale è blando. Arrivati a Sinalunga, poco prima in verità, mi ritorna in mente la strada che passa per Torrita e poi Pienza.
Passo in testa, rilevando MrSergio; seguo i cartelli stradali ignorando il TomTom, che ha iniziato ad inveire contro di me, e dopo aver sbagliato direzione ad un bivio ci ritroviamo su questa splendida strada che si snoda sulle colline, fra curve e saliscendi.
Un bel toboga, divertente, asciutto. Finalmente Pienza, altro divertente tratto fino alla Cassia.
MrSergio propone una breve deviazione per Bagno Vignoni, dove scattiamo alcune foto e dopo un caffè siamo di nuovo sulla Cassia.
Rifornimento, e non ci saranno più soste fino alla stazione di servizio sulla Civitavecchia Roma, dove ci saluteremo.
Si era fatto buio quando iniziavamo a salire per Acquapendente, ma siamo andati avanti spediti grazie alla luminaria che abbiamo a disposizione.
Ci lasciamo che sono le diciannove, in venti minuti io sarò a casa, loro impiegheranno una mezz’ora in più; stavolta sono io il fortunato!
Tornando a casa, in quei venti minuti, rivivo mentalmente il film dei due giorni appena trascorsi; i luoghi che abbiamo attraversato, le cose che ci siamo detti, la cena, il pranzo con i tortelli; il rammarico per gli amici che non hanno potuto partecipare, i passi come mai li avevamo visti e senza prendere una goccia di acqua vera, di pioggia.
C’è chi pensa che sia semplicemente fortuna, con la C maiuscola.
Vero, ma è anche vero che… Audaces fortuna juvat!
Alla prossima, Amici!