15-16 novembre 2013 – I giorni del Porcoddue

Ci pensavamo da tempo.
In genere le nostre uscite si svolgono nei fine settimana, ma da un pò di tempo con MrSergio avevamo una idea: spesso i problemi, ma anche la semplice routine quotidiana, ci portano a raggiungere il punto di saturazione e serve una valvola di sfogo che possa prevenire la deflagrazione delle p… parti anatomiche maschili; e quale migliore sfogo, quale migliore cura che ritagliarsi un paio di giorni, radunare qualche amico, prendere le moto e andare? Si, lo sappiamo cari amici maschi, che conoscete tutti un rimedio migliore, ma una moto la si può cavalcare per ore ed ore, per più giorni consecutivi e fra una cavalcata e l’altra RESTA MUTA!
Purtroppo la controindicazione di queste uscite infrasettimanali ed estemporanee è che non tutti riescono mettere insieme un paio di giorni liberi consecutivi, così il gruppetto è davvero esiguo: Murdok, MrSergio e Ulysse.
A dire il vero si sarebbe unita anche Donna Flò, ma le pessime previsioni meteo, il ritmo che sapevamo sarebbe stato serrato ed altre cosucce hanno fatto prevalere il buon senso.

Appuntamento alle sette e trenta sull’Aurelia, subito dopo la fine della Roma Civitavecchia.
Arrivo alle sette e cinque, appena il tempo di scendere dalla moto, sfilarmi casco e guanti che ecco arrivare Murdok e MrSergio… Senza indugi ci mettiamo in marcia, ci fermeremo al primo bar per la rituale e necessaria colazione.
Il primo bar, il primo che ci andasse bene, lo incontriamo a Tuscania; avevamo fatto anche un giro all’interno delle mura del borgo, ma era tutto chiuso. Con tutta calma ci gustiamo una buonissima colazione e la simpatia della bar(wo)man, simpatia anche a livello fisico 🙂
In moto, si parte; abbiamo scelto un percorso abbastanza diretto, ovviamente su strade “categoria moto”. Se poi il meteo lo consentirà avremo modo di allungarlo strada facendo.
Ci reputiamo già fortunati ad essere partiti all’asciutto, ma quanto durerà? Nei giorni precedenti la pioggia era stata incessante e le previsioni erano le peggiori possibili, con le cartine piene zeppe di nuvole nere e goccioloni.
Raggiungiamo San Lorenzo Nuovo, dove ci immettiamo sulla Cassia, quella bella, che percorriamo per un bel tratto prima di svicolare per strade interne molto più sinuose, le quali ci portano a Montevarchi passando anche per Asciano ed altri posti ameni.
Qui avremmo voluto evitare i semafori ed il poco gradevole attraversamento urbano, preferendo un indolore tratto di autostrada di circa venti chilometri, ma strade interrotte e deviazioni improbabili alle stesse ci consigliano di tirare dritto per Figline Valdarno, cavandocela con qualche minuto di inevitabile traffico.
La strada, ora, è molto piacevole e risaliamo il corso dell’Arno fino a Pontassieve. I cartelli che indicano il passo della Consuma evocano giorni gloriosi e non tanto lontani, giorni in cui abbiamo scritto altre pagine importanti della storia dei Babbaluci. E non piove!
Abbiamo macinato chilometri, con una sola sosta dopo la colazione.
Alla partenza avevo detto ai miei compagni che avremmo pranzato in un certo posto se, ovviamente, ci fossimo arrivati all’ora appropriata… le tredici e zero tre ci sembrava l’ora appropriata 🙂
Così in luogo di freddi, seppur ottimi, panini con prosciutto ed altri salumi, dato che i suddetti avremmo dovuto consumarli all’aperto con una temperatura ed una umidità non certo primaverili, dato che l’occasione non si sarebbe ripresentata certo a breve termine, data l’occasione ancor più rara di aver trovato un tavolo libero senza prenotazione, abbiamo deliberato che era meglio sederci e mangiare qualcosa di caldo.
Servizio impeccabile e velocissimo: il tempo di svestire l’armatura, di fare “un saltino in bagno” e tre fumanti piatti di tortelli alle patate, conditi con ragù, erano in tavola; a seguire un gustosissimo carciofone per MrSergio mentre io e Murdok preferiamo dei porcini fritti… una bontà divina, degno prosieguo dopo cotanti tortelli.
Ben tre bottiglie di acqua minerale d’annata, focaccia e pane, caffè… quindici euro a testa, prego.
Due chiacchiere fuori dell’osteria; la mia sensazione ha sapore d’antico, di quando i viaggiatori sostavano presso le stazioni di posta per rifocillarsi, riposarsi e riscaldarsi nella stagione fredda; so cosa provavano fisicamente; l’aver viaggiato in groppa alle nostre cavalle da sella, esposti al freddo ed alle intemperie; l’osteria, con i tavoli vecchi e consunti, dove c’erano più ombre che luci; l’atmosfera fatta di voci soffuse; il contatto gomito a gomito con altri commensali; il poter parlare senza dover urlare, hanno contribuito a far nascere nella mente questa analogia fra il moderno motociclista e l’antico viandante.
Anche senza andare così indietro nel tempo e restando nell’ambito delle cose concrete, conosciute di persona, mi vengono in mente ricordi comunque lontani, di quando ero fanciullo ed ascoltavo i racconti dei motociclisti di famiglia, mio padre, mio nonno ed i miei zii… strade tortuose e non per scelta, quelle c’erano; fatica, oggi decisamente meno, e le soste presso le osterie tenendo ben presente che a quell’epoca non si usava pasteggiare ad acqua minerale, neanche se stavi viaggiando in moto.
Riprendiamo il cammino, le cavalle si sono riposate anche loro; dobbiamo salire per Borgo San Lorenzo e poi San Piero a Sieve, dove decideremo se andare dritti a Firenzuola, nostra destinazione, salendo per il passo del Giogo di Scarperia o allungare per la Futa e la Raticosa, passando poi per Colle di Canda ed il Sasso di San Zenobi. La differenza fra i due percorsi è di circa quaranta chilometri da San Piero, un’oretta di tempo in più considerando le soste foto ai passi ed al Sasso. Arrivati a San Piero la decisione è a favore della Futa e compagnia bella, dato che non piove.
Direzione Barberino, dunque, ed in breve ci troviamo sui tornanti della Futa. Salendo ai novecentotre metri del Passo della Futa ci infiliamo in una nuvola; non è proprio pioggia ma acqua vaporizzata che ci ammanta come rugiada, se vogliamo essere poetici, oppure in modo più prosaico, “stamo naaa guazza”… Bagnati, comunque, ma in modo delicato, quasi non ce ne accorgiamo.
Scendiamo dalla Futa e la nuvola si dirada, regalandoci scenari dai colori vividi e ben definiti; la strada è bagnata ed un pò viscida, ma da sopra non arriva acqua, almeno.
Lo scenario si ripete, però, in prossimità della Raticosa, 968 metri, e rimane tale perchè non si scende, anzi: al Colle di Canda siamo addirittura sopra i milleccento metri ed al Sasso di San Zenobi a ottocento settanta.
Dopo il Sasso si scende per Firenzuola e di nuovo siamo in un ambiente asciutto sopra e bagnato sotto… evidentemente la pioggia vera ci precede di poco, e meno male!
La strada per Firenzuola non prevede rettilinei, di nessuna lunghezza! Le curve si raccordano l’una all’altra ed i tornanti sono in abbondanza. Molto divertente, anche se bisogna guidare con la massima attenzione e prevenire possibili scivolate della ruota anteriore… le dita della sinistra sono ancorate alla frizione, pronte ad intervenire al minimo scarto della cavalla.
Finalmente arriviamo a Firenzuola. Parcheggiamo le moto, ci infiliamo nel bar di fianco all’albergo per una tazza di cioccolata calda; ancora due chiacchiere in santa pace e poi prendiamo possesso delle camere, in realtà un appartamentino molto grazioso, fatto di tre stanze ed un grande bagno; una terrazza affacciata sulla piazza completa la planimetria della nostra dimora; sulla terrazza c’è anche una porticina di ferro che da accesso al locale dei boiler dell’acqua calda, locale molto caldo; costruire uno stenditoio di fortuna è un attimo, avvalendomi delle fettucce e dei moschettoni che mi porto sempre appresso… et voilà, abbiamo a disposizione un bell’asciugatoio ad uso esclusivo dei Babbaluci: giacche, pantaloni e guanti trovano un caldo giaciglio per la notte.
Noi ci facciamo una doccia calda e poi, dopo un pò di cazzeggio, scendiamo a fare due passi.
Ceniamo presto, verso le otto e venti; cibo squisito, un chianti profumato e delicato, un dolcetto, un pò, ma poca poca, degustazione etilica post pasto ed il gioco è fatto.
Ci fermiamo a parlare con la gentile proprietaria dell’albergo; paghiamo anche il conto in quanto la mattina presto lei non ci sarà e saliamo in camera, non senza aver distribuito carezze allo splendido setter che girovaga dentro e fuori il locale.
Si va a dormire, è quasi mezzanotte, la giornata è stata faticosa e domani avremo ancora più chilometri da fare.

E il domani arriva dopo un bel sonno ristoratore, nel silenzio più assoluto, una pace vera.
Scendiamo, io e Jean leghiamo le sacche impermeabili sulle rispettive selle mentre MrSergio infila la borsa nella valigia della moto.
Colazione al “solito bar” e si parte. Poche centinaia di metri e facciamo il pieno, lubrifichiamo anche le catene con il piccolo spray che ho infilato nella minuscola borsa da serbatoio.
La Montanara Imolese è tutta nostra, non gira un’anima. Incrociamo due o tre camion subito dopo Firenzuola e poi nulla più.
Lasciamo la Imolese e saliamo per il Valico del Paretaio, a novecentocinquanta metri. Scena già vista: salendo siamo avvolti dalla nuvola, vista appannata e acqua impalpabile.
Dietro una curva abbiamo la sorpresa di vedere un giovane capriolo che attraversa la strada, salta un cespuglio, finisce in un fosso a gambe all’aria e, appunto, con una magistrale capriola salta fuori e corre su per il pendio.
E’ emozionante vedere questi animali in libertà; dopo qualche altra curva lo spettacolo che ci si presenta è di genere opposto: una sfilza di suv e fuoristrada parcheggiati a bordo strada o sull’erba ed un cartello che indica una battuta di caccia al cinghiale; la speranza è che non trovando il cinghiale non si sfoghino sparando a tutto ciò che si muove.
Andiamo avanti, il posto è veramente selvaggio; lasciate le poche case all’inizio della salita non incontriamo altri insediamenti umani, neanche auto né tanto meno moto.
Dopo il passo inizia la lunga e tortuosa discesa che ci porta a Palazzuolo sul Senio.
Non ci fermiamo, infilando subito la strada per il Passo della Sambuca. Oramai sappiamo cosa ci aspetta ed infatti dopo un pò di salita siamo nuovamente nell’atmosfera ovattata, intima e umida con la quale arriviamo al passo. Le foto, ovviamente, e si riprende la via. Ma questa volta non abbiamo il beneficio della discesa, con la quale ritrovare visibilità ed aria asciutta; dal Passo della Sambuca, mille e ottanta metri, nella direzione da noi percorsa si scende pochissimo, solo un breve falsopiano in discesa e poi si riprende a salire ai mille e trentasei metri del Prato all’Albero; da qui altra breve discesa e nuovamente siamo oltre i novecento metri del Passo della Colla. Dunque, stavolta, abbiamo inanellato tre valichi restando nella coltre grigia.
Ma è bello! Siamo solo noi, unica moto incontrata finora al Passo della Colla.
Certo, la strada spesso è viscida e bisogna guidare con attenzione; anche se siamo letteralmente con la testa fra le nuvole siamo molto attenti e tutto procede per il meglio.
Si scende per Marradi, affascinante lo spettacolo del fiume Lamone che scorre fra rocce e salti, laggiù in fondo; la strada corre al suo fianco ma parecchi metri più in alto. Ecco, ci siamo: prendiamo la deviazione che, attraverso un paesaggio selvaggio e non molto frequentato, ci porta a svalicare prima il Passo dell’Eremo e poi il Passo della Peschiera; lo scopo, oltre che ammirare la bellezza dei luoghi attraversati da questo tratto del nostro percorso, è di arrivare velocemente a San Benedetto in Alpe per poi salire al Passo del Muraglione. La discesa su San Benedetto non è facile; non lo è normalmente, con strada asciutta, a causa dei numerosi tornanti strettissimi in ripida discesa; con fondo bagnato e foglie a terra c’è da stare veramente all’erta! Ma siamo Babbaluci, diciamo molte cazzate ma in moto non ne facciamo.
Prendiamo dunque la SS67 e saliamo al Muraglione, dove ci fermiamo per le foto di rito.
Mi fermo, scendo dalla moto, mi volto ed un deja vu mi fa vacillare: Jean disteso sull’erboso pendio di fronte al cartello del passo, tuta e casco neri, gambe e braccia aperte a quattro di spade… Una scena vissuta qui nel duemila e otto!!! Quanta strada abbiamo fatto da allora…
Altre foto al Muraglione vero e proprio e si scende a briglia sciolta su Dicomano. Qui facciamo il punto della situazione: sono le dodici e trenta, non ci conviene mangiare ora e spezzare il ritmo; proseguiamo per il Passo di Croce ai Mori.
La salita è velocissima, la strada è asciutta e sta addirittura uscendo il sole; neanche ci fermiamo al valico per la solita foto, perchè MANCANO I CARTELLI!
Scendiamo altrettanto velocemente, forse anche più di come eravamo saliti, tagliamo una parte del percorso che ci avrebbe portato a Camaldoli e poi a Badia Prataglia e procediamo per Poppi e Bibbiena, dove arriviamo alle quattordici circa.
Ci infiliamo in una tavola calda, un piatto di pasta, due chiacchiere e poco dopo le quindici siamo di nuovo in sella.
Procederemo con la statale verso Arezzo e Sinalunga, dove prenderemo la Cassia per tornare a casa.
C’è il sole, si viaggia bene, il traffico sulla statale è blando. Arrivati a Sinalunga, poco prima in verità, mi ritorna in mente la strada che passa per Torrita e poi Pienza.
Passo in testa, rilevando MrSergio; seguo i cartelli stradali ignorando il TomTom, che ha iniziato ad inveire contro di me,  e dopo aver sbagliato direzione ad un bivio ci ritroviamo su questa splendida strada che si snoda sulle colline, fra curve e saliscendi.
Un bel toboga, divertente, asciutto. Finalmente Pienza, altro divertente tratto fino alla Cassia.
MrSergio propone una breve deviazione per Bagno Vignoni, dove scattiamo alcune foto e dopo un caffè siamo di nuovo sulla Cassia.
Rifornimento, e non ci saranno più soste fino alla stazione di servizio sulla Civitavecchia Roma, dove ci saluteremo.
Si era fatto buio quando iniziavamo a salire per Acquapendente, ma siamo andati avanti spediti grazie alla luminaria che abbiamo a disposizione.
Ci lasciamo che sono le diciannove, in venti minuti io sarò a casa, loro impiegheranno una mezz’ora in più; stavolta sono io il fortunato!
Tornando a casa, in quei venti minuti, rivivo mentalmente il film dei due giorni appena trascorsi; i luoghi che abbiamo attraversato, le cose che ci siamo detti, la cena, il pranzo con i tortelli; il rammarico per gli amici che non hanno potuto partecipare, i passi come mai li avevamo visti e senza prendere una goccia di acqua vera, di pioggia.
C’è chi pensa che sia semplicemente fortuna, con la C maiuscola.
Vero, ma è anche vero che… Audaces fortuna juvat!

Alla prossima, Amici!

3-4 agosto 2013 – GPAQ

Eccoci giunti all’appuntamento con uno dei nostri eventi annuali: il GPAQ.
GPAQ sta a significare Gay Pride in Alta Quota, che nulla a che vedere con il gay pride così come lo conosciamo ma è una espressione scherzosa per definire quello che inizialmente era un appuntamento per soli maschi.
Tutti a mangiare e dormire insieme, liberi anche dalle pastoie comportamentali che la vita di tutti i giorni ci impone; ognuno libero di essere solamente se stesso, senza vincoli, tabù o falsi pudori ed il tutto, ovviamente, con l’unico limite del buon gusto e del rispetto.
Anche quest’anno, per la seconda volta, il GPAQ ha visto la presenza di Flò in rappresentanza del … e adesso, dopo la premessa, come lo chiamiamo? Gentil sesso?!? 🙂

Ci si vede, puntuali, ad uno dei nostri abituali punti di incontro: Murdok, Freeblue, MrSergio, Flò, Ulysse ed un (mica tanto) inaspettato Drago.
Colazione, qualcuno rabbocca il serbatoio e si parte; poco Raccordo, qualche chilometro di statale e poi, come usanza del GPAQ vuole, deviamo per strade meno frequentate.
Girovaghiamo allegri, buon ritmo ma senza esagerazioni, fino ad arrivare in un paesino. Incredibile entrare in un bar a circa cento km da casa e sentire la cameriera/proprietaria chiedere: “il solito? Tramezzino tonno e mozzarella e aranciata amara?” Certo che si!
Ci rifocilliamo, i tramezzini sono uno spettacolo, preparati al momento!
Un pò di sano cazzeggio fuori del bar e si riparte; ora ci si diverte ancora di più: la strada sale, si respira il profumo e l’aria leggera delle alture, priva dell’afa della pianura; bella strada, sinuosa; bei panorami, scorci da cartolina.
Le moto hanno abbandonato il borbottio sommesso e tranquillo per lasciarsi andare ad un respiro più ampio, un canto di qualche ottava più alto e sicuramente più ritmico.
Qualche foto, qua e là, ma senza perdere troppo tempo. La strada, tranne un breve tratto di sei km per evitare un centro abitato, riprende il suo percorso fra boschi, alture, discese e salite, sempre in piega.
Anche non esagerando con la manopola de gas si può godere delle belle curve, incessanti, che ci scorrono sotto le ruote.
Di questo passo arriviamo a metà giornata ed è il momento in cui Drago deve rientrare; ci sediamo all’ombra di un albero, su un muretto; chiacchiere, le solite cazzate, è una specie di tutti contro tutti; poi alla fine i saluti: Drago prende la via del rientro, noi saliamo ancora, per un percorso in cui a tratti l’asfalto è un antico ricordo.
La soddisfazione di ammirare paesaggi anche conosciuti, ma da un punto di vista assolutamente inedito ci ripaga ampiamente della strada deformata e dissestata.
Si scende, ora, e passato lo stradello sulla sommità di una diga, la strada si allarga, dotata anche di un buon fondo stradale, tranne in un punto dove pur a velocità molto modesta, non più di ottanta all’ora, una curva più che scivolosa mi fa intraversare come se stessi facendo speedway; mai mollare il gas, in simile frangente: l’improvviso grip avrebbe come effetto collaterale un bel lancio dalla sella ed allora, dosando, assecondo la derapata.
Queste cose hanno una durata temporale di qualche secondo, ma lasciano sensazioni ed emozioni profonde…
Si percorre il bel tracciato a buon passo e poi viene nuovamente il momento di deviare per le alture: un lungo toboga, asfalto quasi perfetto, ci porta ad attraversare diverse comunità montane, per poi alla fine scendere di nuovo a valle; mancano oramai pochi chilometri all’ultimo paese che dobbiamo raggiungere, dopo di che l’asfalto lascerà il posto a qualcosa di più divertente…
Arriviamo, sono da poco passate le tredici ed oramai l’alimentari, l’unico del paese, è chiuso; dobbiamo aspettare le sedici e trenta e così, dopo esserci un pò *sfiammati* all’ombra di una pergola, entriamo nell’unica trattoria del paese per rifocillarci.
Acqua minerale come se piovesse, antipastino all’italiana, con affettati e bruschette; dei primi al ragù o con zucchine e salsiccia, melanzane grigliate e patate per contorno.
Ci dilunghiamo, tanto abbiamo tempo… Poi fuori, di nuovo sotto la pergola; arrivano le sedici, andiamo al bar, l’unico del paese anche questo, prendiamo vino ed acqua minerale, il tutto bello freddo, e sistemiamo le bottiglie nello zaino termico posizionato sul mio retro sella. Scendiamo di nuovo verso l’alimentari, solo un paio di cento metri, e provvediamo a scaricare la moto di Flò: il suo bagaglio lo sistema Freeblue sulla sella della sua moto, Flò salirà in moto con MrSergio e la sua motina resterà parcheggiata davanti alla stazione dei Carabinieri.
Apre anche l’alimentari, si comprano le cose necessarie, mentre tutto il *grigliabile* è già dalla mattina stipato nella borsa termica, proveniente dal mio macellaio di fiducia.
Si sistemano anche gli ultimi acquisti, un’ultima abbeverata e risciacquo alla fresca fontanella in piazza e finalmente si parte per il fuoristrada.
Qualcuno del paese ci avvisa che in settimana “la strada è stata sistemata”, ovvero sono passati con una ruspa a spianare alcuni punti insidiosi. Noi procediamo; man mano che si sale le pareti rocciose si avvicinano l’una all’altra, formando un vero e proprio canyon.
Siamo immersi nel fitto bosco e in una atmosfera quasi surreale. Le moto arrancano, senza fatica, e sembrano non risentire dell buche, dei sassi fissi e mobili, dei profondi avvallamenti dovuti all’attraversamento del ruscello in periodo di disgelo. Lunga salita, a tratti un poco ripida, ma con le dovute accortezze tutto fila liscio. In una mezz’ora o poco più siamo al punto in cui pianteremo le nostre tende: uno slargo pianeggiante, con bei prati. Si vede il cielo, ma gli alberi contornano le radure in un fitto bosco. E proprio ai limiti di questo bosco scegliamo l’area per il bivacco. Ogni tanto passa qualche fuoristrada a quattro ruote ed in buon numero sono le moto da enduro o da cross che sfilano lungo il percorso; tutti ci guardano e ci scambiamo saluti e sguardi di approvazione gli uni verso gli altri.
In poco tempo le tende sono montate, c’è ancora molta luce. Freeblue, coadiuvato da Murdok, MrSergio e perfino da Flò, attrezza una panca a quattro posti, da fare invidia alle panchine del Pincio.
Anche un bel lampadario viene montato in quattro e quattr’otto, siamo proprio una squadra fortissimi!!!
Murdok provvede anche a reperire un bel pezzo di tronco il quale, con un masso sistemato da MrSergio, sarà il mio scranno, comodo ed invidiabile.
Comincia a calare la luce, mentre Flò affetta formaggio e salame fra una marea di battute e doppi sensi, Murdok affetta il pane; MrSergio e Freeblue invece provvedono a posizionare e studiare i barbecue preconfezionati.
Sembra che abbiamo preso una sola, la brace non si avvia, è debole ma poi avremo modo di ricrederci. Intanto Flò, finito il suo lavoro di affettatrice, prende a leggere le istruzioni, ma dato che già abbiamo iniziato a sorseggiare il vino, non è poi così lucida… “Io leggio… cuocendo girando vivande…” e la cantilena diventa un tormentone, fra risa e prese per il culo.
Uno dei bracieri sembra avviato meglio degli altri e su questo Free sistema gli spiedi di pollo, tacchino e pancetta. Sugli altri due bracieri Murdok, Flò e MrSergio sistemano le prime bistecche di dinosauro… Insomma, tutti si danno da fare meno che io, che osservo e  commento comodamente seduto sul mio trono; il fatto è che un fortissimo mal di schiena mi blocca, conseguenza di un brutto colpo preso un paio di giorni prima.
Ma qui siamo tutti amici, si sa che se uno non partecipa è perchè non può ed anche se non gli andasse di fare una beneamata cippa non ci sarebbero problemi, è consentito, tanto approfittatori fra noi non ce ne sono.
Le carbonelle vanno a tutto spiano, cominciamo a consumare spiedi e bistecche, mentre MrSergio sistema le salsicce man mano che si liberano le griglie. Che mangiata! Il formaggio ed il salame sono andati giù come olive, la ciccia ce la siamo sbafata in un baleno; il vinello pure è finito, si è fatto buio, le chiacchiere e le cazzate, mai sopite in verità, riprendono il loro incessante scorrere.
Ecco che arriva un cane, avrà sentito l’odore della carne da chissà dove… Diventa subito nostro amico, cibandosi di avanzi di carne, formaggio e dell’ultima salsiccia rimasta. Poi, così come era arrivato, sparisce nel buio fitto, senza un guaito, senza abbaiare, senza far rumore.
A proposito di rumori: dal bosco provengono versi di uccellacci, schiocchi di rami spezzati, altri rumori che mettono in allarme Flò… per fortuna ci siamo noi a rincuorarla, mettendoci il carico da undici 🙂
Sistemiamo le griglie, raccogliamo in un sacco avanzi e rifiuti, che poi appendiamo ad un albero.
E’ tempo di ritirarci nelle tende, dopo aver contemplato il cielo limpido e di un blù intenso, pieno di stelle che solo in montagna è possibile vedere.

La mattina, ero già sveglio da un pò, sento flebili rumori, passi… esco dalla tenda e vedo MrSergio girovagare nel campo, con la fotocamera imbracciata. Parlottiamo, verifichiamo l’ora che avevamo ipotizzato e che si rivela esatta; poi iniziamo a preparare il caffè: macchinetta, acqua, caffè, zucchero… Porcamignotta, l’accendino! Dico a MrSergio di prenderlo in una sacchetta nella mia tenda, ma dalla tenda di Freeblue esce “la Mano”, solo quella, che porge l’accendino… La parola caffè, pur pronunciata sottovoce, ha risvegliato corpo ed anima!
Poco dopo, reduce dal letargo, si fa vivo Murdok.. Caffè anche per lui, anche latte, visto che lo avevamo portato ed era stato scaldato anche lui in una cuccumella, alla potente fiamma del fornelletto a spirito costruito da Andrea con due mezze lattine di birra… Ammazza, se ci chiamano all’isola dei famosi facciamo fuori tutti, con le nostre risorse e capacità.
Eccola, fa capolino dalla tenda anche Flò che per riprendere completa padronanza di se ha bisogno della sua tisana del caz.. eehhmmm, della sua tisana in tazza.
Colazione lenta, fra il ripristinarsi della favella e delle capacità motorie cominciamo a smontare il campo ed alle dieci siamo pronti, con i bagagli nuovamente caricati sulle moto.
Scendiamo, gli otto chilometri in fuoristrada ci risvegliano completamente; siamo di nuovo in paese; altra colazione al bar, dal mitico Vincenzo che ci accoglie con la sua solita simpatia. Si parte, finalmente e definitivamente.
La strada ci porta ad attraversare nuovamente zone montane; sembra non finire mai… infine ci fermiamo in un paese, sono le quattordici circa.
Ho addocchiato un posticino per spiluccare qualcosa, un bar bello grande con una terrazza dove spira anche un leggero refolo d’aria fresca, a tratti. Certo, avevamo anche azzardato l’ipotesi di andare da Aaaaaangela, è proprio qui dietro, ma ci vorrebbe troppo tempo e poi fa caldo; abbandonata anche l’idea di scendere sulle sponde del fiume per mangiare in un posticino, ma oggi, essendo domenica, sarà strapieno.
Invece nel bar siamo solo noi; un simpatico ragazzotto ci rifornisce di acqua minerale, patatine, panini con cotoletta o cheeseburger, cocacola ed un buon quantitativo di ghiaccio. Proprio quello che ci voleva.
Si riprendono le moto, si concorda l’ultimo tratto di percorso e via, di nuovo in strada, a macinare chilometri e curve, a non finire.
Ecco, ci siamo: ultima fatica, i venti chilometri di A24… Ci fermiamo all’area di servizio prima del casello, siamo in una fornace… bottigliette di acqua fredda, i saluti e poi… Oh cazzo! La mia gomma posteriore completamente a terra. Niente paura, spostiamo la moto all’ombra ed in un baleno la foratura è riparata; altri saluti, ora si parte davvero.
Ed ora finisce anche questa avventura; l’ennesima e l’ennesima ben riuscita. Che gruppo fantastico!!!
Ho volutamente omesso i nomi delle strade, delle località, dei paesi per due motivi: uno, per non dare indicazioni precise a quei motociclisti che già troppi posti ci hanno sputtanato, con il loro comportamento barbaro.
Due, perchè qualunque sia il luogo i Babbaluci stanno bene se sono in compagnia fra di loro. A noi basta poco: una strada e del tempo libero, tutto il resto, compresa l’amicizia che ci lega, l’affiatamento, l’affetto, lo portiamo sempre con noi nella nostra casetta…

Alla prossima, Amici!

5 luglio 2013 – Prati di Tivo

A volte capita di uscire in solitaria; magari si ha un giorno libero non di fine settimana e non ci sono amici disponibili a formare un gruppetto o quanto meno una coppia di baldanzosi motociclisti alla ricerca di una giornata in completa libertà.
A me capita spesso, perchè essere solo non mi impedisce di farmi una bella cavalcata in moto.
Fino ad ora, a parte qualche piccolo resoconto sul forum, non ho mai redatto un vero e proprio report di queste giornate, ma ora mi piace farlo, almeno per trasmettere le sensazioni che si provano ad andare in giro in compagnia di se stessi e della propria moto.
La prima cosa, abbastanza evidente, è che orari e ritmo sono perfettamente calzanti alle proprie personali esigenze, abitudini e, perchè no, all’estro del momento.
Io mi sveglio presto ma se so che debbo andare in moto l’orologio biologico anticipa ulteriormente la sveglia. In questa occasione si è ripetuto ciò che succede generalmente in situazioni simili: occhi sbarrati, all’improvviso, intorno alle tre di notte. E così mi ritrovo nel mio garage che sono circa le quattro, ora cosiddetta legale, perchè l’orologio della mia moto è fisso sull’ora vera, quella solare: giro la chiave nel quadro e leggo 3:03…
Mi preparo, la metodologia acquisita impedisce che io dimentichi qualcosa; faccio presto ed alle 3:20 sono fuori del garage, con la moto che borbotta gentilmente senza, credo, aver svegliato i vicini.
Il pieno di carburante è stato effettuato il pomeriggio precedente, così come tutti i controlli di routine, livelli e così via.
Bar aperti a quest’ora non ce ne sono e così trotterello sull’Aurelia, a circa settanta all’ora, dirigendomi verso il Grande Raccordo Anulare; area di servizio Selva Candida, frequente punto di incontro con gli amici; potrei fermarmi qui ma è ancora troppo presto e dunque tiro lungo; viaggiando ad una velocità modesta, fra i novanta ed i cento all’ora, arrivo sulla A24 e mi fermo a Colle Tasso Sud, altro punto di incontro noto ai Babbaluci,. Data l’ora non c’è praticamente nessuno; lascio la moto davanti alla vetrina così, facendo colazione, la potrò controllare, dato che non ho staccato nè il navigatore nè la borsa sul portapacchi.
La colazione è veloce quanto deprimente, mi rimetto subito in marcia; c’è una foschia nell’aria che preannuncia una giornata di sole intenso, ma al momento è umido e non fa certo caldo. Durante la vestizione ho indossato un wind stopper sotto la giacca ed i guanti in pelle, cosa che si rivela opportuna.
Sempre sul filo dei novanta-cento percorro i pochissimi chilometri di autostrada, per uscire a Vicovaro Mandela. Tiburtina, ora, passando per una ancora assonnata Arsoli, da dove le valli sottostanti risultano nascoste nella nebbia; Carsoli, dove incrocio un paio di camioncini ed altrettanti trattori. Ancora nebbia, si sale; attraverso paesaggi ovattati e le mille curve, serrate, di tutti i tipi, passo Pescorocchiano, San’Elpidio ed infine Tornimparte. Non riesco a vedere neanche il lago del Salto, dove la nebbia ne copia perfettamente i contorni. A Tornimparte un paio di strade interrotte mi costringono a fare delle deviazioni antipatiche, ma in breve sono su una delle strade più belle e motociclistiche d’Italia, la SS 80. Passo in completa solitudine il Valico delle Capannelle e, senza incontrare anima viva, arrivo al lago di Provvidenza. Un paio di foto, senza scendere di sella e con il motore acceso… Il ritmo è modesto ma costante, concedo poco alla velocità di punta e nulla alle soste. Ad Aprati dovrei fare rifornimento, ma il pos del distributore non funziona e nei dintorn inon c’è un bancomat dove prelevare. Vado avanti, lasciando la SS 80 per salire a Crognaleto, sono a circa trenta chilometri da Teramo. Benzinai neanche l’ombra, tanto meno bancomat; entro nel paese di Altavilla ed un attempato nonchè pittoresco abitante del posto scoppia a ridere quando gli chiedo del bancomat e del distributore: “Ma tu proprio qui vai cerchenno ste cose? Da dove arrivi?” Da Aprati, rispondo, e lui: ” Ecco, allora tornaci oppure riprendi la strada sopra e vai a Montorio… Ce la fai?, sennò te la do io un pò di benzina.” Millle ringraziamenti, ma non mi meraviglio, gli Abruzzesi sono così! Ce la faccio, comunque; mi rode un pochino arrivare a Montorio per poi ritornare qui, perchè è chiaro che debbo seguire il mio percorso; mi rode ancora di più tornare indietro, sono ancora più chilometri. Per forza di cose raggiungo Montorio, dove ho un altro siparietto con altro attempato locale, molto distinto: “Si, la posta è in piazza, quella principale”. Io: “E dov’è la piazza principale?” Lui: “Un poco più avanti, sulla destra, dove c’è la posta.” Chiarissimo, no? Non contento chiedo anche se c’è anche un distributore e lui: “Per il distributore devi cambiare!” Che devo cambiare? mica sono in treno!!! Non si scompone e con tutta calma risponde: “Devi cambiare strada, no?!”.

Espletate le operazioni di rifornimento contante e carburante ripercorro a ritroso la strada fatta, che in totale sono circa venticinque chilometri, e riprendo il percorso che avevo disegnato. Molto ben fatto, mi complimento con me stesso perchè se avessi fatto diversamente, ovvero se da Montorio avessi ripreso la SS 80, mi sarei perso degli angoli incantevoli, con tanto di ruscelletto canterino ed innumerevoli cascatelle!
Fino ad ora, dopo la colazione, l’unica volta che sono sceso di sella è stato alla posta, anche il rifornimento è stato fatto a cavallo sulla moto.
Comunque, alla fine, sempre sulla SS 80 mi ritrovo, poco distante dal bivio per salire a Pietracamela ed ai Prati di Tivo. Poco più di quattordici chilometri di salita e tornanti, con il suggestivo panorama sul Gran Sasso a fare da quinta. Paesaggio severo, austero, magnifico. Passo, senza entrarci, il paese di Pietracamela; anche lui incute un certo timore, ricorda storie antiche, di pastori, mi vengono in mente i racconti di Ignazio Silone… Il paese sembra perennemente minacciato dalle pareti rocciose fra le quali è incassato, davvero suggestivo. Proseguo, al piccolo trotto; la strada, invece, mi ricorda i tornanti della recentissima vacanza in Basilicata, in compagnia dei Babbaluci; mi accorgo che, sotto la visiera, sto sorridendo al ricordo!
Durante il tragitto ho già ricevuto una chiamata da MrSergio, che mi accompagnava nell’itinerario seguendolo su Google Maps, ed una chiamata da Dragokappa, che invece chiedeva informazioni riguardo ad un intervento che avrebbe dovuto effettuare sulla moto di un suo amico.
Fa caldo, ora, caldissimo! Durante la breve sosta a Montorio mi ero tolto il wind stopper ed aperto tutte le prese d’aria della giacca e dei pantaloni ed avevo indossato i guanti leggerissimi, da fuoristrada, in luogo dei pesanti guanti in pelle. Farò pubblicità, ma non ho obblighi verso nessuno pertanto non frega: impagabile il completo Rev’it; appena posso ne prendo un altro!
Sono le ore undici, solari, nonostante la deviazione. Mentre continuo a salire mi faccio mentalmente due conti pensando a quanto si potrebbe impiegare con il gruppo per arrivare fin qui. Si può fare!
Arrivato ai Prati di Tivo faccio una ricognizione ai prati bassi poi, completato l’anello, salgo per i prati alti. E’ tutta un’altra musica! Si è immersi nel fitto bosco, luce ne penetra veramente poca. Prendo appunti: individuati due posti per il picnic, con panche e tavoli, più una fontana con acqua corrente; nei prati bassi, invece, individuati posti per un buon bivacco. Oddio! L’asfalto finisce di botto, me la rido sotto la visiera… Più che sterrato, pietraia, canali, buche di varia profondità, acqua. Ci sarà, e c’è, da divertirsi; arrivo al capolinea, una sbarra dice che è vietato proseguire; non per i validi ciclisti, in MTB, che sono già oltre la sbarra e studiano un percorso su carta e GPS; è gente pratica, non il solito pollame di allevamento, si vede subito, come subito si riconoscono certi motociclisti della domenica. Plauso.
Dietro front, un pargolo sui tre anni saluta, seduto sul gradino di un camper fra le gambe del giovane papà; esce anche la mamma, il bimbo mi indica ed urla cose incomprensibili; i genitori ridono, io mi fermo, spengo il motore e tolgo il casco. Ci salutiamo allegramente, tutti, fra le risa generali per i versi che fa, che urla il bimbetto.
Fa bene vedere certe cose, l’imprinting giusto glie lo stanno dando, mettendolo a contatto con la natura, quella vera, e non relegandolo sotto un ombrellone su una spiaggia gremita di soliti polli, quelli di batteria. Ah, la massa… fuggirne è un obbligo morale verso se stessi.
Riparto; scendo a folle ed a motore spento i primi tornanti, per non disturbare la quiete dei pochi escursionisti, poi riprendo il pieno controllo del mezzo; sappiamo per esperienza che a folle, a motore spento, in fuoristrada si possono fare danni, vero Manga?!? 😀
Di nuovo alla piazzetta, scendo ancora, ripercorrendo la strada verso Pietracamela; adesso entro in paese, mi accingo a prendere nota sui vari macellai, alimentari ma nulla di fatto; se torneremo qui per un bivacco, sarà bene approvvigionarsi a Montorio.
Eccomi ancora una volta sulla SS 80, ancora in direzione di Montorio ma questa volta è giusto così, è iniziato il percorso di rientro.
Per strade che non sto a spiegare ma che sono facilmente intuibili, dopo un’oretta mi ritrovo al Rifugio Mucciante; una sosta sarebbe opportuna, per le chiappe e la panza, ma ho una leggera antipatia per questo posto, un tempo vero rifugio dove era possibile sostare in santa pace.
Squilla il telefono nell’auricolare, è Murdok; quanto mi fa piacere sentire gli amici che vogliono in qualche modo partecipare al giro e si tengono informati.
Scendo per Castel del Monte, San Demetrio, Molina Aterno;  mi godo in completa solitudine le Gole di San Venanzio, procedo per Goriano; lascio l’asfalto per un corto sentiero che mi porta sulla sommità di una collinetta: lascerò raffreddare un pò la moto e mi riposerò anche io. Mi spoglio, inserisco l’antifurto semmai dovessi addormentarmi e mi sdraio sull’erba, all’ombra di un alberello. Quarantacinque minuti, in silenzio e nel silenzio; qualche raro cinguettio, nessun mezzo a due o quattro ruote che passa; qualche scricchiolio dalla moto, anche il metallo si rilassa.
Riparto, ora sento la fame, ma tiro dritto: Collarmele, Celano ed entro in autostrada, mi da fastidio attraversare Avezzano.
Ne approfitto per prendere un panino ed una coca all’area di servizio, ma il cassiere mi fa innervosire con la sua insistenza per farmi prendere un menù, cosi me ne vado, lasciando la signorina con il panino in mano: “Senta, ma io il panino l’ho scaldato!” Bene, lo dia al suo collega, con sessanta centesimi può prendere anche il dolce, è conveniente…” Esco, casco e guanti, al pari un nobile incazzato che avrebbe preteso guanti e cappello; risalgo sul mio poderoso destriero e via. Poca autostrada, esco a Magliano de Marsi, qui il panino vero, al mio bar preferito, con tanto di bibita ghiacciata; ci sta tutto. Altra bibita, alla faccia dei cassieri invadenti!
Riparto, strada nota: Scurcola Marsicana, Tagliacozzo; prima dei Colli di Monte Bove mi concedo una deviazione: un omaggio alla memoria, la mia; per non dimenticare mai, come si dice. Marsia. Ci venivo da ragazzetto, ancorchè quattordicenne, a cavallo del mio Corsarino 50 ZZ; un gruppetto di amichetti, la tenda militare presa a via Sannio… Che tempi!
Riprendo l’itinerario del rientro: Colli di Monte Bove, come dicevo, poi giù, verso Carsoli e di nuovo Mandela Scalo, dove mi immetto sulla A24 per l’ultimo noioso tratto verso casa. Al garage conto i chilometri; fra itinerario e deviazioni sono ottocentoquarantasei; per il giro con gli amici, al netto del percorso di avvicinamento da e per casa, saranno circa settecento; in due giorni, in gruppo, si può fare.
Anche questa è oramai in archivio.
In certi momenti, viaggiando da soli, si secca la gola e le mandibole si serrano per mancanza di articolazione… Ma un paio di telefonate degli amici aiutano a rinfrancare lo spirito, la loro presenza si sente ed è molto gradita, pur se via etere. Progressi della tecnologia, il bluetooth fa miracoli! Ovviamente ci vogliono anche gli amici giusti, ed io ce l’ho! Molto soddisfatto del giro, delle varianti effettuate per necessità, per curiosità o per romanticismo, saudade di tempi che non ritorneranno mai più.
Eh, si, viaggiare da soli innesca ricordi, introspezioni; molti ne ho fatti di viaggi o semplici giri in solitaria, ogni volta prima che un viaggio per i luoghi è un viaggio dentro se stessi.
E mi piace, quasi quanto viaggiare in compagnia!

Alla prossima, Amici!