di Ulysse
Prendendo spunto dalla nostra ultima due giorni, caratterizzata da pioggia, freddo e neve, sto riflettendo proprio sull’utilizzo della moto in inverno. In verità sono vecchi pensieri che ogni tanto tornano a galla ed allora provo a metterli in ordine.
Per i più andare in moto è un piacere che si coniuga con le cosiddette belle stagioni, primavera ed estate; magari altri possono prolungare l’attività fino ai giorni ancora tiepidi dell’autunno, ma non oltre. Pochi, invece, fanno parte della mia categoria, che usa la moto durante l’intero anno.
Prima di proseguire è bene focalizzare cosa si intende per “andare in moto”. Personalmente escludo gli spostamenti di necessità, quali recarsi al lavoro, fare commissioni, andarci al mare, fare una passeggiata la domenica mattina e cose così; per questo non bisogna per forza essere motociclisti, non si va in moto, si è semplici utenti di un mezzo a due ruote. Spesso per convenienza più che per passione.
Ovviamente sto esprimendo il mio punto di vista, che sicuramente sarà dissimile da molti altri perchè ognuno vede ed è libero di vedere la cosa a proprio modo.
Io per uscita in moto intendo qualcosa che possa avvicinarsi quanto più possibile ad un viaggio, anche fosse di un solo giorno; salire in sella mi deve dare la sensazione che sto partendo, non che sto andando a fare una passeggiata. I ritmi sono diversi, le percorrenze anche, la destinazione deve avere un perchè e la strada per arrivarci deve essere protagonista quanto e più della stessa meta. E le stagioni, il meteo, non esistono! La moto è totale nella più ampia accezione del temine: è totale perchè sicuramente deve saper affrontare qualunque stagione e (quasi) qualunque tipo di terreno ; dico quasi per l’ovvio motivo che con una moto “comune” non puoi dedicarti ad attività estreme come ad esempio il cross o l’enduro quello vero, dove è richiesto un mezzo specialistico. E’ totale perchè il suo impiego è dal primo gennaio al trentuno dicembre, senza interruzioni. In questo scenario l’utente del mezzo a due ruote si chiama appassionato, perchè è solo la passione che ti spinge ad andare oltre, a non volerti separare dalla tua moto neanche per una sola settimana all’anno.
Il freddo e la pioggia sono abituali compagni di viaggio delle escursioni invernali, ma al giorno d’oggi abbiamo protezioni ed abbigliamento che quarant’anni fa nemmeno eravamo in grado di sognare… allora sì che dovevi avere una passione smisurata per poter sopportare il freddo e l’acqua che ti entravano nelle ossa. Oggi è più facile, almeno per me che avendo sessanta anni ho vissuto le dure stagioni dei giacconi in pelle, spesso quei giacconi da tranviere che si rimediavano da zii o amici di tuo padre, che ti proteggevano dalle pietre ma non dagli agenti atmosferici… La cosa difficile è, invece, avere a disposizione persone animate dalla tua stessa passione, ma in questo sono abbastanza fortunato: nel nostro piccolo gruppo ci sono alcuni compagni che, seppur giovani, hanno saputo cogliere e coltivare l’essenza dell’essere motociclista: pensare ed agire da motociclista, non da persona che usa una moto.
Da un punto di vista tecnico non c’è molto da dire e non sono qui per dare lezioni di guida; l’esperienza deve essere tale da farti valutare ciò che è fattibile e ciò che invece è da evitare; andare in moto in inverno non deve significare andare in cerca di guai, ma cercare evitarli! La pioggia si gestisce, adeguando guida e velocità, pieghe e frenate; la centralina del nostro cervello deve entrare in azione prima di quella della moto, prima dell’abs; questi dispositivi intervengono quando si è già in una situazione critica, il nostro cervello invece deve attivarsi molto prima, proprio per evitare di trovarsi in questi frangenti. La neve non la si va a cercare; se capita, una spruzzata la si sopporta sia fisicamente che tecnicamente, ricordando quanto sopra; se la strada è già innevata ed inevitabilmente in qualche parte anche ghiacciata, entro i limiti del possibile è ancora possibile guidare.
I limiti del possibile, è proprio qui la chiave del successo: si deve essere consapevoli delle proprie capacità quanto dei vincoli imposti dall’ambiente, senza lasciarsi condizionare da euforia e ottimismo preconfezionato.
Tanto per fare un esempio: proprio in questa due giorni era nostra intenzione salire al Passo del Vestito, sulle Apuane. Durante l’avvicinamento la strada era già abbondantemente spruzzata di neve e nelle parti in ombra, ai limiti della carreggiata, c’era anche ghiaccio.
Camminando al centro ed evitando manovre brusche potevamo avanzare, piano ma in tutta sicurezza; arriviamo al bivio: la strada che saliva al valico era completamente bianca, immacolata, neve traslucida e ghiaccio. Qui abbiamo preso l’ovvia decisione: non saliremo al passo, l’obiettivo è fare un giro piacevole ed appagante, non battere qualche record o rischiare di rompersi l’osso del collo per tentare una impresa impossibile. Ed abbiamo vinto, ancora una volta… la strada alternativa saliva comunque ad una forcella, era sempre innevata ma non proibitiva; ci siamo divertiti, abbiamo tuttavia compiuto una performance non usuale e non facile, grazie all’esperienza che ci ha consentito di affrontare ciò che era fattibile e rinunciare a ciò che invece era pericoloso.
Ovvio che fattibile e pericoloso non sono valori assoluti, ma in stretta relazione alle proprie possibilità; per molti fare la nostra strada sarebbe stato proibitivo, per altri – pochi 🙂 – ciò che noi abbiamo ritenuto impossibile sarebbe stato fattibile. Per me, se avessi avuto una moto da cross o una enduro/cross targata non ci sarebbero stati dubbi, ma avevo sotto le chiappe una GS, che può fare molto ma non tutto.
Sul piano emotivo, invece, c’è molto da dire.
La moto d’inverno è come il mare d’inverno: ritenuto incompatibile con la stagione, ma è semplicemente non adatto ai più. I motociclisti veri non sono fra la moltitudine, fanno parte di una casta ristretta di motociclisti alfa, dove è difficile trovare gli intutati da piega domenicale fuori luogo.
Un’uscita invernale, fatta con i compagni giusti, ha tutto un altro sapore che farla da soli; la condivisione in questi casi diventa complicità e la complicità è il miglior cemento per le amicizie, è il miglior condimento con il quale insaporire un evento, fin da quando si faceva sega a squola … si vede che non l’ho frequentata molto? 🙂
Sapendo che l’uscita sarà straordinaria, che sicuramente prenderemo acqua (la neve non era preventivata), che i chilometri saranno non pochi per questa stagione (novecentodieci in due giorni), l’ansia ha cominciato a farsi sentire da diversi giorni prima dell’uscita. Ansia positiva, ansia da partenza, quella che ti agita perchè non vedi l’ora di andare, nonostante i tanti anni e i tanti chilometri sulle spalle, perchè sai che hai un appuntamento con una piccola avventura, che stai andando a scrivere una pagina importante della tua storia personale, che è poi la storia del tuo piccolo gruppo. Soprattutto sai che in tutto questo avrai uno o più complici, che non devi convincere, semplicemente perchè sono come te, ragionano come te ed hanno la moto e l’amicizia nel sangue, mischiati con i globuli rossi – o giallorossi -.
MrSergio, Freeblue, Jean quando si ricorda di essere Jean, la straordinaria Daniela, il lontano Jack… basta dirgli “andiamo” e sono pronti, salvo impegni improcrastinabili (come l’ho detto bene!). E la sera a cena l’atmosfera è diversa dal solito; ogni volta ci ritroviamo come in una tana nuova ma subito calda ed accogliente; è il nostro rifugio dopo la fatica e senti che questi amici sono animali della tua stessa specie, fratelli.
Tutto questo grazie ad un pò di pioggia, freddo ed una stagione che, dicono, non sia adatta alle moto.