Sabato 11 Giugno
Per la prima volta, contrariamente alle nostre abitudini, avevamo deciso di prendercela comoda e partire da casa alle 8 e 30. Poi, però, per la voglia di andare e lasciarci il caos del lavoro ed altri fastidi alle spalle il prima possibile e per la considerazione che essendo sabato e dovendo attraversare posti di mare le strade sarebbero state tutt’altro che libere, abbiamo deciso secondo i nostri sani principi: partire presto è l’imperativo di ogni viaggio, specie se lungo.
Alle 6 e 30, dunque, siamo già in sella sul tratto autostradale che ci porterà fin dopo Civitavecchia, per poi immetterci sull’Aurelia. Poco traffico a quest’ora e dunque procediamo spediti fino a Livorno; da qui prendiamo per Pisa e poi Lucca, arrivando a fare la prima sosta a Borgo a Mozzano, precisamente al ponte della Maddalena, detto del Diavolo. Foto al ponte, poi sotto una leggera ma fitta pioggia iniziata mentre scattavamo, procediamo per Castelnuovo in Garfagnana dove ci fermiamo in una osteria per un pasto veloce, composto da affettati e formaggi vari. Aveva smesso di piovere subito dopo lasciato il Ponte del Diavolo, dunque arriviamo belli asciutti.
Dopo il ristoro vorrei scendere su Massa valicando il Passo del Vestito, ma se qui non piove le Apuane, invece, sono nascoste da nuvoloni neri e si intravedono lampi. Arrivati ad Isola Santa, invece di salire al passo prendiamo la strada per Forte dei Marmi che pur non valicando alcun che, scende in un susseguirsi di curve molto ma molto strette verso la costa. Facciamo sosta a Massa, per acquistare una card per la fotocamera e dopo un gelato rinfrescante ripartiamo, senza più fermarci, alla volta di Borghetto Vara, ad una manciata di chilometri dal Passo del Bracco, dove pernottiamo.
Cena discreta, buon vinello locale, nessuna attrattiva particolare fuori dell’albergo.
Domenica 12 Giugno
La mattina, per gentile concessione dell’affabile signora, facciamo colazione alle 7 e 30, un’ora di anticipo rispetto all’orario abituale dell’albergo; siamo in moto alle 8. Passo del Bracco, piacevolissimo e deserto, poi autostrada a Sestri Levante fino a Menton… un delirio, un susseguirsi senza fine di gallerie e viadotti dove l’unica variante è rappresentata da lavori in corso con conseguenti salti di carreggiata. Arriviamo a Menton e senza fermarci imbocchiamo la Grande Corniche, strada mitica e panoramica dove hanno girato anche il film *il ladro*, di Hitchcock; questa strada è decantata per il meraviglioso panorama della costa che offre dall’alto, ma se il panorama è il vomito di cemento di Monaco o dei grattacieli di Nizza, allora molto meglio godersi le curve della strada stessa…
Arriviamo a Nizza; anche qui, più per dovere di documentarsi che per piacere, percorriamo senza alcuna emozione i 5 chilometri (per 10 metri di larghezza) della famosa Promenade des Anglais; belli gli alberghi *storici* come il Negresco, ma in giro c’è di molto meglio.
Ad Antibes, altro obbrobrio di cemento e palazzi assurdi per cubatura e fattezze, prendiamo un panino più che al volo presso un McDonald, unica fonte di alimentazione aperta ed accessibile. Si prosegue in fretta, la nostra destinazione è Montauroux, abbiamo tanta altra strada da fare. Evitando l’autostrada, che pure ci farebbe risparmiare tempo ma non è nei nostri piani, ci addentriamo in quello che si rivelerà un bosco fitto e molto bello, con continui saliscendi e belle curve; la strada è tutta così e ci porta ad attraversare un lago abbastanza grande, per poi arrivare a destinazione. Un motel lungo strada, questo è il nostro albergo; ma molto carino, già in stile provenzale, economico e con la possibilità di parcheggiare la moto davanti alla finestra della camera. Non c’è reception, un cartello dice di chiamare un numero di telefono che presto arriverà qualcuno ed infatti arriva una graziosa signorina, ci da la chiave, paghiamo anticipatamente ed arrivederci; la chiave della camera la lasceremo il mattino dopo in un cestino posto su un tavolo nei pressi del portone.
La cena però la consumiamo a Callian, un paesino molto carino arroccato su una collina a cinque chilometri da qui, ovviamente dopo aver fatto una superdoccia ed indossati abiti *civili*.
Cena squisita, la carta dei vini proponeva, fra gli altri, un rosè di Provenza che ci ha ispirato e ci è talmente piaciuto che per il resto del viaggi abbiamo bevuto solo questo, o quasi.
Lunedi 13 Giugno
Non c’è colazione presso il motel, dunque si parte presto presto e ci si ferma in un paesino ad una decina di km, lungo l’itinerario odierno, per la suddetta colazione e per il rifornimento alla moto; per due cornettacci umidi e mollicci, un caffè ed un caffèolè ci vengono chiesti in cambio 6 euri e 50 centesimi… però qui i cornettacci appena sfornati dal microonde che li ha decongelati si chiamano croissant, vuoi mettere?
Digerito il conto ma non i cornetti ripartiamo alla volta delle Gorges du Verdon, dunque dirigiamo verso Comps sur Artuby, punto dove incrocia la strada che percorre il periplo delle gole; abbiamo deciso di seguire la Corniche Sublime, la strada a sud delle gole, attratti dal nome… sarà un caso che si chiami così? Intanto il percorso per arrivare a Comps è semplicemente fantastico: attraversa boschi, monti, bei paesini e dal punto di vista motociclistico è molto divertente, nel suo susseguirsi ininterrotto di curve; arrivati a Comps imbocchiamo subito la Corniche e bastano un paio di chilometri per ritrovarsi in un paesaggio surreale, mozzafiato. Il tracciato segue quasi fedelmente l’andamento dell’orlo della gola, il fiume si vede piccolo piccolo in fondo al canyon; attraversiamo il ponte che congiunge i due orli della gola ed iniziamo a scendere verso il lago. Per ammirare le gole è meglio fermarsi, la strada è molto stretta, pericolosa, ed include anche una galleria dove si passa a senso unico alternato…
Arriviamo fino al lago, lo attraversiamo, e dopo una piccola sosta foto ripartiamo per Moustiers Sainte Marie, anche questa tanto decantata ma che sinceramente oltre al caos generato dalle auto e soprattutto dai camper intasati nello stretto vicolo che salendo attraversa il paesino, lo stesso non offre molto che possa destare la nostra curiosità. Proseguiamo, dirigendo verso la zona di Valensole, che attraversiamo ammirando i campi coltivati ed il paese molto carino; ci fermiamo a Greoux les Bains, oramai sono quasi le 15 e individuato un bar-ristoro un po’ decentrato, gustiamo una ricca insalata nizzarda.
Poco più di mezz’ora e si riparte; ancora curve, boschi, strade sempre interessanti e finalmente arriviamo a destinazione: Saint Remy de Provence. Veramente bella, già all’ingresso la cittadina mostra tutta la sua pulizia, la cura negli edifici e nei giardini privati e pubblici e le belle case provenzali, appunto; verde, piante e fiori dappertutto, anche sui lampioni. In questo scenario raggiungiamo, in breve, il nostro hotel. Un casolare provenzale molto caratteristico, carino e con un giardino, neanche a dirlo, molto ben curato.
La nostra permanenza a Saint Remy durerà cinque giorni e sarà la base per tutte le escursioni in Provenza e Camargue.
Alla conclusione del terzo giorno del nostro viaggio abbiamo già percorso 1.200 chilometri e viste molte cose strada facendo, siamo molto soddisfatti.
La sera, sempre dopo una doccia rilassante e dopo aver indossato abiti civili, andiamo alla ricerca di un posticino dove concederci una cena degna di questo nome e, seguendo il fiuto, troviamo un ristorantino dove si cena all’aperto, a lume di candela. Cena ottima ed abbondante, allietata ulteriormente da quel rosè della Provenza niente male…
Durante la cena socializziamo con la cameriera che in realtà di mestiere fa la guida turistica presso il sito archeologico di Glanum e ci invita al sito per il giorno dopo, alle 9 e 30.
Martedi 14 Giugno
Alle 9 e 30 siamo dunque a Glanum, circa un km dall’albergo, incontriamo la ragazza e ci inoltriamo fra i ruderi, Romani ovviamente.
Terminata la piacevole ed interessante visita prendiamo la moto e ci rechiamo a Tarascon: castello, Rodano, barche sul fiume etc… ci spostiamo nuovamente, destinazione Pont du Gard, maestoso, imponente e meraviglioso acquedotto Romano; giro minuzioso, foto ed ammirazione tanta. Anche tanta invidia per come viene conservato!!!
Lasciamo Pont du Gard per una molto meno entusiasmante visita ad Avignon, dove scattiamo una sola foto al Pont Saint Benezet senza peraltro salirci sopra e ci rimettiamo in sella dopo neanche mezz’ora; abbiamo anche accennato a fare due passi nelle viuzze, ma i numerosi negozi di souvenir, le gelaterie e le frotte di giapponesi attaccati alle loro fotocamere ci hanno fatto desistere.
Rientriamo così a Saint Remy, dove dopo aver impastoiato la belva ed esserci ripuliti dalla polvere e cambiati d’abito, ci rechiamo al ristorantino della sera prima, che però è chiuso.
Fortunatamente il fiuto ancora una volta ci soccorre e ne scorgiamo un altro, molto più rustico e fuori mano, dove la cucina è anche migliore.
Ancora una bottiglia di rosè della Provenza, lo stesso, a farci compagnia…
Mercoledi 15 Giugno
Oggi andiamo a Senanque, a vedere la famosa abbazia, che non ci delude. Bella dal punto di vista architettonico, incassata nella valle e circondata dai campi di lavanda. Camminiamo dentro ed intorno, facciamo foto cercando le inquadrature più efficaci e poi risaliamo in moto. Ci dirigiamo a Gordes; non ci è piaciuta, troppo presuntuosa, piena di se e con gente con la puzza sotto il naso; ci ricorda alcune località della Toscana, frequentate dal cosiddetto turismo d’elite. Giro in moto delle due straduzze che incrociano nel paese, due foto scansando a gomitate qualche giapponese e via, verso Roussillon. Qui è un’altra musica: paesino incantevole, gente *normale*, escursionisti, autoctoni affabili. Fatto un primo giro in paese, a piedi, andiamo a fare una escursione seguendo il sentiero delle ocre. Semplicemente stupendo, sembra di stare nel Colorado! Il giro è lungo ed anche un po’ faticoso, il caldo è tanto, come la sete, e ad un certo punto arriva anche la fame; l’orario c’è e dunque terminato il giro ci accomodiamo al tavolo di un bar, all’aperto e bene in ombra. Pranzetto veloce, come al solito, ed un gelato; un paio di bottiglie di minerale e si può ripartire. Il percorso di rientro non è programmato, così procediamo secondo l’ispirazione del momento e dopo un po’ ci ritroviamo a percorrere la strada che attraversa il parco des Alpilles; a parte la bellezza del tracciato, penalizzato però dal fondo stradale, il panorama è spettacolare, quasi lunare. Les Alpilles sono le alture rocciose che circondano Saint Remy e dintorni e sono rappresentate anche in qualche dipinto di Van Gogh. Dopo un bel tratto di strada che si snoda sinuoso fra boschi, rocce, vigneti e frutteti si cominciano a vedere le indicazioni per Saint Remy; ancora un po’ di strada e un cartello ci dice che prendendo a sinistra si arriva a Les Baux e così facciamo. Strada sempre con molte curve, in salita e con un ottimo fondo stradale; Les Baux è una fortezza medioevale arroccata su uno sperone di roccia, a picco; intorno si vedono le cave di roccia rossa, è da qui che ha preso il nome la bauxite.
I numerosi pullman che stazionano fuori le mura, però, ci fanno desistere dal voler effettuare una visita più approfondita; da fuori è bello, suggestivo, scattiamo qualche foto e tanto ci basta.
Si riprende per Saint Remy, tornando sulla strada che avevamo abbandonato; ora si sale, sempre fra boschi e rocce e seguendo un tracciato dove i rettilinei sono merce rarissima; una volta valicata la sommità dell’altura si comincia a scendere e dopo qualche chilometro di strada con fondo ottimo, che assomiglia molto a qualche nostro passo in Appennino, ci ritroviamo a passare davanti al sito di Glanum, visitato due giorni prima. Saint Remy, capolinea. Saliamo in camera, dalla quale ammiriamo ancora una volta lo stupendo panorama delle Alpilles – l’albergo, non a caso, si chiama Castelet des Alpilles – mentre ci ricomponiamo per la cena.
Questa sera torniamo da Pistou, la trattoria decentrata e rustica.
Giovedi 16 Giugno
Questo è il giorno dedicato a Saint Remy, non al santo ma nel senso che resteremo qui.
Con molta calma andiamo a far colazione e poi ci facciamo un primo giretto in moto, per le strade e la periferia della cittadina.
Poi arriviamo nei pressi di Glanum, nuovamente, ma questa volta la visita è all’istituto che ha ospitato Van Gogh: la Maison de santè Saint Paul de Mausole, dove in un anno Vincent dipinse più di trecento quadri.
È suggestivo vedere come in alcuni dipinti sia riuscito ad impressionare fedelmente i panorami che circondano l’istituto e l’istituto stesso, proprio nel quadro *davanti al manicomio*, e provare a capire quale fosse la sua visione di quei luoghi.
Impieghiamo molto tempo per questa visita, soprattutto per cercare di portare a casa una bella foto della sua camera; cerchiamo dettagli, particolari, gli angoli dei giardini dove andava a dipingere, l’uliveto oltre il quale si stagliano les Alpilles… emozionante e commovente.
La giornata prosegue fra giretti vari ed una lunga siesta nelle ore calde, in albergo, nella fresca penombra della camera, godendo ancora della vista delle Alpilles. Ci godiamo, prima e dopo cena, anche il bel giardino dell’albergo, il suo cedro gigantesco e le piante, curatissime, tutt’intorno.
La cena questa volta è a base di pizza e birra, meglio la seconda della prima.
Venerdi 17 Giugno
Oggi Camargue, dunque lasciamo Saint Remy di buon’ora ma non prima di aver consumato la nostra colazione al bar della piazza principale.
La strada che conduce a Saintes Maries de la Mer passa per Arles e dunque facciamo un paio di giri in città prima di uscirne e proseguire per la Camargue. Qui è tutta pianura ed i rettilinei sono lunghi, molto lunghi; ai lati scorrono campi di girasoli, vigne, qualche bella casa rurale. Man mano che ci addentriamo nella Camargue ne riconosciamo le caratteristiche: cavalli bianchi, tori, si cominciano a vedere con frequenza sempre maggiore gli aironi, i guardabuoi specialmente, che vediamo appollaiati sul dorso delle pecore e dei cavalli; ovviamente ci fermiamo a fotografare; ci fanno un po’ pena i cavalli impastoiati e sellati in attesa dei turisti che li cavalcheranno, guidati in pseudo avventure selvagge fra i sentieri non più inesplorati della macchia; sono rassegnati, immobili, messi in bella mostra per attirare i clienti e pazientemente in attesa di iniziare il loro turno quotidiano.
Arriviamo a Saintes Maries… ma quante sono ‘ste Marie? La storia, o la leggenda a seconda di come la si interpreta personalmente, dice che quelle ufficiali sono due: Maria Salomè e Maria Jacobè.
I cartelli locali comunque indicano il paese anche con il nome di *Li Santo Mario*; paese carino, caratteristico, con le sue casuzze bianche, i numerosi alberghi che però sono ben integrati ed armonizzati con l’ambiente; il turismo è caotico, sembra Cattolica o Misano invase dai tedeschi… anche qui rapido giro rigorosamente in sella alla moto ed una volta districati dal traffico siamo di nuovo fuori del paese, direzione Saline di Giraud. Immense, spettacolari, un paesaggio aspro ed insolito.
Parcheggiamo, ci facciamo un giro a piedi fino ad un ad una modestissima altura che costituisce una sorta di belvedere, foto e ripartiamo. Si percorre qualche chilometro e ci troviamo fra tre case ed un bar, null’altro… ci fermiamo al bar, pergola ben ombreggiata, mangiamo qualcosa; sembra un paesino di frontiera nel Far West! Dopo il solito, veloce e frugale pranzo a base di hamburger e patatine, ripartiamo in cerca dello stagno di Fangassier e, dopo qualche giretto di valzer fra risaie e tori, lo troviamo. Questa è la zona dei fenicotteri rosa ed infatti dopo esserci addentrati parecchio ne vediamo una trentina, tutti insieme, al centro dello stagno (enorme) e ben distanti dalla strada; per noi che non abbiamo portato la reflex ma solo una compatta è difficile ricavare una foto che li ritragga in dimensioni che non li facciano sembrare moscerini e così, a moto spenta, li ammiriamo da lontano quando ecco il colpo di fortuna: un elicottero sorvola la zona, i fenicotteri vengono disturbati e si alzano in volo, tutti insieme, passando poco più in alto delle nostre teste.
Fortunatamente ho la fotocamera in mano e faccio in tempo a scattare qualche foto degna di tale nome.
Ritorniamo per vie brevi a Saint Remy, ma anche questa sera parcheggiamo la moto con il trip giornaliero che registra 290 km.
La sera consumiamo la nostra –abbondante- cena da Pistou, che è meno raffinato ma più consistente e genuino dell’altro ristorantino. In onore della Camargue e dei fenicotteri spilucchiamo una buona quantità di Gamberoni ma al posto dell’acqua salata preferiamo il solito rosè della Provenza.
Sabato 18 Giugno
Colazione, rifornimento ed oggi si parte per lasciarci definitivamente alle spalle Saint Remy.
La nostra destinazione è Die, iniziamo dunque il cammino verso nord, che in seguito ci porterà ai confini con la Svizzera. Contiamo di raggiungere questo paesotto di montagna percorrendo le routes de la lavande; così facciamo, ma purtroppo fatti appena 60 km siamo costretti, per prudenza, ad indossare la tenuta antipioggia: intorno è tutto nero, specialmente se lo sguardo volge verso i monti sui quali stiamo per inerpicarci. La strada è bella ed i panorami ancor di più, i campi di lavanda non sono al massimo della fioritura ma già danno uno spettacolo incantevole con la loro caratteristica colorazione; ci fermiamo a fotografarne uno ed il profumo che emanano queste piante è acuto, fa quasi girare la testa.
Proseguiamo, sempre montagna; ora la pioggia è veramente intensa e la guida è resa difficoltosa dalla scarsa visibilità, essendo immersi nelle nuvole cariche di pioggia. Camminiamo, facciamo strada senza neanche fermarci a prendere un panino, sempre sotto la pioggia: faremo centottanta lunghissimi chilometri di strade montane tutti d’un fiato, passando da un versante all’altro della catena montuosa, da un valico al successivo senza che la pioggia accenni a diminuire. Infine, scendendo dall’ennesimo valico, la pioggia cessa di colpo: strada bagnata, fino alla fine, ma siamo fuori della zona temporalesca. L’ultimo centinaio di chilometri si snoda fra un iniziale fondovalle e la successiva, immancabile, salita sui monti; bello e non piove, anzi si comincia a vedere qualche squarcio d’azzurro in cielo. Oggi abbiamo percorso 340 km…
Arriviamo a Die poco dopo le 14, dismessi gli antipioggia davanti al primo bar decidiamo di fermarci per divorare un panino, seduti fuori ma all’asciutto; uno schifoso, puzzolente, ghiacciato panino con insalata ed ascelle di pollo… Ordiniamo due cioccolate per riscaldarci ma anche queste sono poco più che tiepide, pazienza. La sosta dura un po’ più del solito, perché oramai siamo a destinazione; molto in anticipo sull’orario previsto, ma con quella pioggia era inutile fermarsi a far foto ed era preferibile, come è stato, arrivare presto per asciugarci e rilassarci.
Troviamo l’albergo, hotel des Alpes tanto per scegliere un nome originale; gestori molto simpatici e disponibili, mi danno immediatamente la chiave della cantina/garage per ricoverare la moto.
Estraiamo le borse morbide dal loro guscio come fossero Babbaluci, e con questa pioggia l’accostamento ci sta tutto, e mentre sto togliendo la borsa da serbatoio arriva un altro TDM, carenato! Scaricano anche loro ed insieme ci rechiamo al garage, poco distante.
Finalmente sono in camera anche io: lunghissima doccia bollente, al limite dell’ustione di primo grado e, come mia abitudine, mentre indosso panni civili ed asciutti, apro la finestra e guardo fuori: spettacolo!
Ho delle montagne di fronte, con la cresta illuminata dal sole che sta tramontando, nuvole sparse e rossastre che avvolgono qualche cima ed un vistoso arcobaleno che nasce in mezzo a questo scenario… risultato: 21 foto a raffica, variando velocemente e ad ogni scatto i valori di posa e le inquadrature, per catturare il momento magico.
Oramai la serata si prospetta in configurazione di gara asciutta, dunque usciamo per fare due passi in paese e scattare qualche altra foto; ci siamo scaldati e dunque ci risulta gradevole prendere una birra, io perché Rob preferisce un volgarissimo, dozzinale ed annacquato caffè locale, sedendoci ad un bar che ci aveva attratto in quanto aveva appesa al muro, parecchio in alto, una vecchia moto.
Ci divertiamo ad *ammirare* fauna stanziale e di passo, turiste mutandone che camminano con le pedule ed i bastoncini da montagna, forse ignare che per dimagrire dovrebbero circum…camminare il globo terracqueo per almeno tre volte consecutive; ancora qualche immancabile soggetto strano e facciamo l’ora di cena. Riprendiamo la passeggiata, orientata a trovare il giusto posto per il nostro pasto quotidiano, quello vero; ci ispira un piccolissimo bistrot entro il quale ci infiliamo senza ulteriori dubbi e bene facciamo!
Cameriera-propietaria bella e simpatica, cuoco-marito all’altezza di questo nome, come cuoco intendo, come marito non saprei; ben presto il localino esaurisce i suoi 18 posti ripartiti in 3 tavoli da 4 e 3 da 2 – la configurazione ricorda drammaticamente quella di un aereo e mi riporta per un attimo la mente al lavoro: tutti i tavoli da 4 lungo una parete e quelli da 2 lungo quella opposta, con un corridoio in mezzo; istintivamente cerco con gli occhi il sentiero luminoso che porta alle uscite di sicurezza ma non lo vedo!
La cena è ottima, la di la delle nostre aspettative, il vino è il solito rosè della Provenza.
Si fanno ancora due passi e poi si rientra in albergo; non posso fare a meno di fotografare il meraviglioso comodino in stile ultra minimalista!
Domenica 19 Giugno
Oggi ci trasferiamo ad Annecy, altra tappa di avvicinamento al confine schfizzero, l’ultima.
Facciamo colazione in albergo e vado a prendere la moto nella cantina-garage mentre Rob effettua il check out e porta le borse fuori dell’albergo.
Partiamo, cielo con nuvole sparse, non piove ed infatti facciamo una buona parte di percorso asciutti asciutti; altra strada di montagna, altri valichi, tornanti, salite, discese… un bel divertimento, insomma, c’è da essere soddisfatti. Divoriamo i 300 e passa km del percorso senza fatica e facendo una sola sosta, così da arrivare ad Annecy alle 15 ed avere l’intero pomeriggio a disposizione per girare le piazze, il parco, il lungolago e soprattutto i vicoli fra i canali di questa fin troppo curata cittadina; la parte vecchia, storica, quella nella quale noi risediamo, è davvero caratteristica e molto bellina. Ci siamo concessi un lusso, il miglior albergo di questa zona, che affaccia direttamente sul canale principale; in fin dei conti la camera costa quanto un tre stelle in Italia e non molto di più della media del tetto massimo di 70 eurozzi a notte che avevamo preventivato. La moto, dopo aver lasciato i bagagli in hotel, la andiamo a parcheggiare in un garage coperto, privato, a pagamento: per il pomeriggio e tutta la notte pagheremo la modesta somma di 4 euro, di cui 2 di mancia… La sera ceniamo all’aperto, al tavolo di un modesto ristorante in posizione strategica e centrale e tutto sommato non si mangia affatto male, anzi. E’ la prima occasione che abbiamo per gustare, finalmente, la tartiflette, un pasticcio di patate, formaggi vari, cipolla e prosciutto. Puzza un po’ di capra, ma è buonissimo, provatelo se vi capita.
Il vino è immancabilmente il solito rosè di Provenza, sempre della stessa cantina fra l’altro.
Lunedi 20 Giugno
Siamo ancora ad Annecy, abbiamo previsto delle escursioni nei dintorni che ci consentano anche di prendere un po’ di respiro prima del rush finale.
Di buon mattino, ma sempre dopo la colazione ancora in hotel, andiamo a prendere la moto e dopo una non lunga passeggiata arriviamo alle Gorges du Fier. Parcheggiamo, chiudiamo caschi etc, e percorriamo a piedi il sentiero che ci porta all’ingresso delle gole; aprono alle 9, recita un cartello, ma ci viene il dubbio che siano chiusi: sono le 9 e 30 e non si sente un rumore, una voce, non si vede anima viva in giro.
Infatti al bar – botteghino ci sono i due gestori e nessun altro; che fortuna, saremo i primi ad entrare e non avremo gente fra i piedi ad ostacolarci cammino e fotografie.
Così è! Le gole sono stupende, si cammina su una stretta passerella in acciaio ancorata alla roccia, un po’ impressionante per chi non è abituato ai percorsi attrezzati di questo genere. Il fiume scorre, o meglio rotola rumorosamente molto più in basso e ci gustiamo, a lento pede, l’ardita escursione. Le pareti, in alcuni punti, quasi si toccano; foto, foto, foto e giungiamo alla fine della fiera, delle gole del Fier in effetti. Da qui in poi il fiume, dopo un ultimo salto, riacquista la sua tranquillità e lo scenario si apre su una verde e rigogliosa ansa. Addirittura un airone, di sicuro questo non è il suo ambiente ma evidentemente lo gradisce.
Nel tratto di ritorno incrociamo un paio di coppie e due ragazze, evidentemente intimorite dallo scenario in cui stanno deambulando. Arriviamo di nuovo al bar, una bibita fresca e si riparte per il vicino castello di Montrottier. Parcheggiata la moto sotto i merli e ben distante dal culo dei piccioni, proviamo ad entrare ma il custode ci dice che l’ingresso, rigorosamente con visita guidata, sarà alle 15. Estiqaatsi dice che non si possono aspettare le 15, visto che mancano ancora 3 ore, ed allora ci dirigiamo verso il prossimo way point: pont de la Caille. Vorremmo fare delle foto al ponte e ci mettiamo buoni buoni da una parte in attesa che due imbecilli evaporino come hanno fatto i loro cervelli tanto tempo fa… Riprendiamo il cammino e facciamo le agognate foto al ponte pedonale che unisce le due parti di una larga e profonda gola; pedonale? Fin tanto che non ci si infila a tutto pedale un drappello di ciclisti in configurazione Tour de France…
Torniamo alla moto, indossiamo i caschi e ripartiamo, trotterellando verso Annecy. Abbiamo percorso circa 160 km, giretto defaticante, siamo nei pressi della base alle 16.
Sul lungolago abbiamo visto un bar e andiamo per il solito panino, ma ci vengono offerte omelette al formaggio e patate fritte, quelle vere e non surgelate. In questi casi, anche perché non dobbiamo più guidare, una birra gelata è d’obbligo. Durante la libagione ci fa compagnia il cane della proprietaria, splendido pelosone con gli occhi di colore differente uno dall’altro.
Hotel, relax, doccia, cambio d’abito –per la sera indosserò un elegantissimo pantalone militare, mimetico, ed una maglietta da montagna in microfibra- e siamo di nuovo fra i vicoli, a far foto.
Arriva l’ora della cena; la sera prima avevamo adocchiato una pizzeria ristorante italiano e dato che sulla locandina aveva una bella bandiera dell’Italia con al centro il Colosseo, andiamo volentieri a fargli visita.
La nostra cameriera è Italiana, Calabrese, sorella del cuoco-proprietario; sono arrivati qui molti anni fa e da camerieri presso terzi sono riusciti ad aprire una propria attività. La domanda, rigorosamente interiore, è: perché non è stato possibile in Calabria, o quanto meno in Italia? Mah!
La cena è buona, noi non siamo tipi che cercano il mangiare italiano a tutti i costi in ogni parte della terra, ma visto che siamo qui ci sbafiamo un piatto di spaghetti al pomodoro, io, ed una lasagna, Rob. Per riequilibrare la situazione e non incappare in incidenti diplomatici ordino anche una tartiflette, và!
Dopo cena, cammina, cammina, cammina, arriviamo in un punto strategico ideale per ammirare la solita fauna prevalentemente non locale: c’è veramente da ridere; c’è gente che si concia in un modo così ridicolo che abbiamo la certezza che loro non si vedono, non riescono a vedere la propria immagine neanche riflessa in una pozzanghera, altrimenti non andrebbero in giro così! E non parlo di bruttezza fisica, sarei l’ultimo o uno degli ultimi a poter disquisire su questo argomento, ma di come si vestono: neanche Totò a colori!
Martedi 21 Giugno
E’ l’ora, si parte!
Ritirata la moto al garage –questa mattina ho pagato 2 euro di cui 1 di mancia- ci dirigiamo a passo sostenuto verso il lago Leman, o di Ginevra che dir si voglia.
Il tempo sembra buono, ad Annecy sono stati due giorni di sole ferragostano; arriviamo a Thonon, sul lago, la oltrepassiamo e siamo oramai quasi ad Evian, sì, proprio dove imbottigliano la omonima acqua, quando zio Tom mi dice di svoltare a destra; il paesaggio cambia di colpo: ci inoltriamo in un bosco, strada sinuosa, filari di alberi ai margini, torrente abbastanza importante che scorre sulla destra, si inizia a salire, ancora un bivio, ancora a destra e… il cartello, il primo: RDGA, siamo sulla Route des Grandes Alpes!
Si sale, ancora, con pendenze più o meno ripide ma sempre in tiro, fosse anche un falsopiano ma la strada è sempre in salita, nel verso in cui la percorriamo noi ovviamente. Alla fine saranno quasi 80 km in cui al motore non potevi far tirare il fiato mollando un po’ il gas.
Ed arriva il primo valico, poi il secondo, poi il terzo, poi la pioggia! Minchia, che palle!
Procediamo, che altro potremmo fare oltre indossare le sottili protezioni per l’acqua?
Di questo passo arriviamo nientemeno che al Col de la Colombier, molto umidi ma solo esternamente per fortuna. Io guido con i guanti da enduro, quello vero, che consentono una presa sicura anche se bagnati, non si appesantiscono ed asciugano presto. In più il solo indossarli mi da sicurezza, sono per me come le noccioline per Superpippo.
Le soste sono poche, giusto qualche foto a documentare il passaggio sui vari colli, altro non si può fare in queste condizioni, ma completiamo onorevolmente e con una buona media la tratta quotidiana; la tratta è dada, il tratto è dado, il dado è tratto, insomma! Abbiamo iniziato e dobbiamo terminare e per terminare si deve continuare, damose da fa!
Arriviamo così a Bourgh Saint Maurice, dopo una serie infinita di curve, tornati, salite, discese e rettilinei quanto basta, in 320 km di percorso, ad eguagliare la lunghezza di via dei Fori Imperiali, da piazza Venezia al Colosseo.
In realtà la nostra destinazione è qualche chilometro dopo Saint Maurice: solo 6 km, di cui 2 e rotti su sterrato-brecciato ed il resto, nuovamente, in salita. 7 tornanti, per l’esattezza, lungo la D1090 che in soli 50 km porta a Courmayeur ed al traforo del Monte Bianco; siamo a soli 28 km dal confine con l’Italia.
Parcheggiamo davanti alla locanda, tipicamente di alta montagna: casottone in pietra con il piano superiore ed il tetto molto spiovente, in legno. Gentili, carini nei modi, disponibili: la moto ce la fanno subito parcheggiare in un cortile, protetta da un cancellone. La camera è spaziosa, luminosa, con una bella vista sui monti: Rob è stanca, dopo la doccia si rilassa sul lettone imperiale, mentre io scendo con le carte per studiare il percorso del giorno dopo; socializzo con una coppia anche loro motociclista, tedeschi, viaggiano con una Fazer 1000 azzurra che solo a vederla mi fa venire i lacrimoni e sappiamo perché; ovviamente si conversa in inglese, vista la reciproca difficoltà ad usare ognuno la lingua dell’altro.
Vengono dalla Cermania, hanno attraferzato l’Italia, ora scenteranno in Provenza, ja!
Parliamo e beviamo birra, che altro puoi fare con due tedeschi, se uno dei due è il marito di lei? 🙂 Il tempo che io mi finisco quei 25 cl del boccale petit, loro ne fanno due a testa e di quelli grandi; hanno un altro passo, bisogna riconoscerlo, ma cazzo quanto consumano!!! Altro che Brutale o SMT!!!
Scende anche Rob, si unisce al brindisi con altri 25 cl di birra.
Passano altri motociclisti, alcuni si fermano, altri no. Sopra, scendendo dalla parte del Petit Saint Bernard, deve piovere perché molti si fermano a togliere gli antipioggia. Due non ripartono, nel senso che chiedono ed ottengono una stanza. Altri due si producono in svariati passaggi il cui scopo è indagare sulla qualità della locanda e dei clienti, soprattutto di quelli in moto, e ci schifano. Braccio teso, mano ben aperta eee… malimortaccivostra!
La cena si rivela un altro successo, fino ad ora ne abbiamo bucata una sola, a Saint Remy, dove abbiamo mangiato pizza ed abbiamo sbagliato alla grande. Infatti non l’ho dettagliata nel resoconto, che sarebbe stato alquanto penalizzante ai fini della media qualitativa.
Non chiedete nulla del vino, lo sapete che è sempre quello!
Mercoledi 22 Giugno
Si parte da Seez alle 8 e 30 e si passa nuovamente per Bough Saint Maurice.
Abbiamo indossato gli antipioggia già alla partenza: l’acqua è venuta giù a catinelle tutta la notte, accompagnata da lampi e tuoni. Al momento di lasciare la locanda non piove, ma sappiamo che è solo una pausa e dunque ci prepariamo a dovere. Il percorso è bello, i chilometri, comunque, scorrono rapidamente sotto le ruote e dopo un’oretta ci troviamo a scalare il Col du Telegraph, il cui punto di svalicamento è presidiato dai militari; ma mica una robetta così! Fucili imbracciati, carri armati schierati… e che ci sarà mai in quel forte?! Facciamo due foto ed approfittiamo per fare una piccola sosta dato che ora non sta piovendo. Numerose le moto qui, ma ancor più numerosi i ciclisti, supportati da auto, furgoni, van che danno loro assistenza nelle scalate. Vediamo partire drappelli sia degli uni sia degli altri, diretti al Col du Galibier, non molto distante dal Telegraph; dopo un po’ ci mettiamo in marcia anche noi e strada facendo vediamo le stesse moto che erano partite prima di noi percorrere la strada in senso opposto. Possibile che sia così vicino il Galibier e che quelli, arrivati in cima, stiano riscendendo per andare da altre parti?
No, non è così e ce ne accorgiamo mentre continuiamo ad affrontare la ripida salita: piove a dirotto ed il limite della visibilità è poco oltre il cupolino della moto! Mentre i ciclisti, nella loro ridottissima andatura, procedono imperturbabili, i motociclisti evidentemente non se la sono sentita ed hanno rinunciato. Io, finchè mi sento sicuro e tranquillo continuo ad andare, poi se vedo che la cosa si fa rischiosa torno indietro. Ma, tranne che guidare con la visiera aperta e dunque con l’acqua che bagna anche l’interno del casco, non rilevo ulteriori problemi. Non si vede nulla, siamo immersi in un grigio compatto, dalle diverse sfumature; procedo con gli abbaglianti e le quattro frecce innestate; ogni tanto una sagoma si materializza, un po’ più grigia dell’ambiente circostante: ciclista; sempre uno o due insieme, non di più fortunatamente, e sono anche educati, o timorosi, infatti appena sentono il rombo della moto si fanno da parte. Moto non ne vediamo più da un bel pezzo, ne a salire ne a scendere; percorriamo i tornanti sgranellandoli uno ad uno come le nocciole di un rosario; sono tanti, tutti a 180 gradi, tutti salita per salita, quaranta minuti e più di questa tiritera, con la moto che arranca sempre in prima o seconda marcia e finalmente, quando gli siamo oramai sotto, vediamo il cartello del passo: Col du Galibier, 2645 mt. I ciclisti debbono ancora arrivare, non c’è nessun mezzo a due ruote, solo un van tedesco con una coppia all’interno, che vedendo le luci della moto sono usciti allo scoperto; protetti da un ombrello, gentilmente si offrono di farci una foto con la nostra fotocamera e poi chiedono se possono scattarne una con la loro, per ricordo; fortunatamente non ci danno dei pazzi ma esprimono sincera ammirazione; io non credo di aver fatto nulla di anormale, guidando con prudenza e con un po’ di esperienza -e i miei guanti da enduro- ho ritenuto che la cosa fosse fattibile ed infatti siamo qui, pronti ad essere immortalati in un teutonico sensore da 12 megapixel.
Sostiamo pochissimo, il tempo necessario per le due foto, salutiamo e ripartiamo; la discesa è ancora più impegnativa della salita, la strada è scivolosa e benedico i rigagnoli di acqua che consentono di lavare i copertoni dalla fanghiglia ed ottenere un grip migliore; visiera sempre alzata, siamo ancora dentro la nuvola, e con la pioggia che continua a scendere senza tregua. Tornanti a ripetizione, una cosa esagerata per numero e per la ridottissima distanza fra uno ed il successivo, veramente sembra di scendere una scala a chiocciola! Ma questo consente di ridurre rapidamente la quota; intorno ai 2000 mt siamo fuori della nuvola, continua a piovere ma è una pioggerellina fitta e leggera; la strada raggiunge il fondo, sempre sinuosa ma quasi in piano, piccoli scollina menti mentre la pioggia è cessata. Poi la strada sale, non di molto, ed in breve ci troviamo a svalicare Col du Lautaret, a 2058 mt. Altra fotina e via, ma è ricominciato a piovere, a dirotto!
Arriviamo alle porte di Briancon, sono oramai le 15 passate, dobbiamo fare anche rifornimento; la moto non consuma molto, tutt’altro, ma le salite ai passi, specie quella al Galibier, tutte cone le marce basse, hanno richiesto poppate più sostanziose; ad un certo punto, nell’interfono, due grida all’unisono: c’è un macdonald! Mi infilo nel parcheggio, c’è un ampio pergolato in legno con tavoli per mangiare all’aperto e lo usiamo come disimpegno per toglierci gli antipioggia, i caschi ed i guanti ed entrare conciati un po’ meglio di come siamo arrivati. Solito pollo con patate, ma le patate sono diverse dai soliti fiammiferi congelati, sono addirittura buone. Alla fine del pasto ed un po’ riscaldati, vado in bagno ad asciugare i guanti con il getto di aria calda ed in breve sono belli asciutti, anche caldi. Fuori del mac c’è un distributore e facciamo il pieno, ha anche smesso di piovere e così, in tutta tranquillità, in un’ora e mezza di gradevole strada di fondo valle, arriviamo ad Eygliers, fine della tappa quotidiana; abbiamo percorso 286 km, oggi.
Il nostro albergo è in realtà un motel ma molto carino, ben tenuto e con un giardino curatissimo.
Prendiamo la camera, ci ripuliamo a dovere e dato che oramai non piove più, abbiamo anche il tempo per fare due passi e qualche foto prima di cenare.
La cena si rivela ottima, a dispetto della sensazione che può dare un posto anonimo come questo; intorno ci sono poche case sparse e distanti, ma il locale si riempie ben presto e non sono solo clienti del motel.
Buon per noi, fortunatamente anche qui troviamo il nostro rosè e così possiamo protrarre la caratteristica enologica di questo viaggio.
Dopo cena uno sguardo alla tv per consultare il meteo sul televideo e poi cediamo al sonno.
Giovedi 23 Giugno
Una leggera pioggerellina scende mentre facciamo colazione ma fortunatamente al momento di partire, pur non essendo sereno, non piove più. Bastano pochi chilometri per trovarsi ancora una volta in piena salita, accompagnati sulla nostra sinistra da un costone roccioso lungo il quale la strada serpeggia seguendo fedelmente il profilo della parete; a desta non c’è nulla, come al solito: non un parapetto, non un guard rail, una recinzione; la strada è stretta ed il fondo non è peggio di quello che abbiamo trovato fin qui. Il panorama è sempre degno di nota, montagne ancora innevate si profilano proprio davanti a noi. Il cielo si apre, si vedono ampi squarci di azzurro che ci accompagnano fino a Col de Vars, a 2103 mt. Non amiamo fare troppe soste, ci si stanca di più e si perde tempo prezioso che invece deve essere preservato per affrontare eventuali imprevisti e comunque per giungere alla conclusione della tappa nei tempi previsti, in modo da rilassarsi e riposarsi per potere affrontare al meglio la tratta del giorno successivo; qualche foto al volo, senza spegnere il motore, il che ci consente di mantenere una buona media ma anche di percorrere tratti particolarmente belli e panoramici ad andatura ridotta e goderci quello che ci scorre incontro, ciò nel quale, essendo in moto, siamo immersi.
Oggi le curve non finiscono mai, non c’è respiro, meglio – o peggio, dipende dai punti di vista – dei giorni precedenti. Ed i panorami si fanno ancora più interessanti e la strada sale sempre più ed il cambio della moto ingrana marce sempre più ridotte e… ci sono i cartelli gialli a bordo strada, siamo salendo sul Col de la Bonette. Arriva l’impettata finale, la strada si impenna decisamente ma i cartelli dicono che mancano ancora 24 km per il passo! Ed infatti anche qui saranno necessari molto più di quaranta minuti di tornanti a tortiglione in ripida ma non rapida salita, sempre prima e seconda marcia, per superare i 1589 mt di dislivello ed arrivare al valico, ma non al punto più alto. Salendo si vedono anche diversi bunker militari. Poche moto, tanti ciclisti, qui c’è anche un tempo discretamente soleggiato.
Il valico è a 2715 mt, ma i francesi hanno fatto una furbata: la strada, arrivati al valico, prosegue formando un anello intorno alla cima ed arrivando al punto più alto che è a 2802 mt.
Questo l’ha classificata non il valico più alto d’Europa, perché lo Stelvio e l’Iseran sono più alti, ma la strada più alta d’Europa; ci sono molti ma molti cartelli a ricordarlo, ma ormai andrebbero tolti perché la strada per il Pico de la Veleta, sulla Sierra Nevada in Spagna, si inerpica per altri 5–600 metri ancora più in alto.
Comunque sia è affascinante; qualche centinaio di metri più in basso, sui 2400, finisce la vegetazione e si cammina su una montagna brulla, fatta di nuda roccia e pietrisco scuro, molto scuro. Un muro di ghiaccio, sulla sinistra, ci accompagna dai 2400 metri, appunto, fino in cima e per un pezzo a scendere.
Le moto ci sono, anche qualche deficiente che percorre l’anello in senso contrario quando invece i cartelli indicano che è senso unico, logicamente, dato che a fatica ci passano due moto affiancate.
I ciclisti sono ancora di più, nuovamente, sempre assistiti dai loro furgoni. Anche qualche squadra di professionisti in allenamento con tanto di ammiraglia al seguito, che passa loro le borracce in cui ci piace pensare ci sia solo acqua o al massimo qualche bevanda energetica al gusto di limone.
Scendiamo, piano, godendo del panorama; attraversiamo un minuscolo villaggio militare abbandonato con case di pietra semi diroccate, siamo ancora molto alti in quota, poco sotto il valico. Ora non piove più e ci godiamo la strada spettacolare…
Il tempo è buono, procediamo allegramente al trotto, senza affanno.
Salendo e scendendo continuamente per una serie di valichi minori, se possono essere chiamate minori le quote di 1500, 1600 metri. Arriviamo così all’ora di pranzo, più o meno ma sempre più, ovvero abbondantemente dopo le quattordici, in un villaggetto molto carino; ci fermiamo davanti ad una taverna e prima di lasciare la moto verso una bottiglia d’acqua su una valigia eccessivamente infangata; un gentile e simpatico signore ci informa che se vogliamo altra acqua c’è una *fontanetta a druà del pont*.
Entriamo nel locale, modesto ma come piace a noi; in breve ci viene proposta e subito servita una paella (!?) molto buona e piccantina, con carne verdure e legumi, a soli 10 e 50 a porzione, porzione più che abbondante. Pranziamo, questa volta è un pranzo vero!
Si riparte, con comodo, e si affronta il tratto che ci porterà a concludere questo terzo ed ultimo atto della nostra Route des Grandes Alpes; un lunghissimo percorso ci porta a svalicare il Col de Turini a 1607 metri, bello, fra gli alberi, molto guidato e con una serie di doppi tornanti a scendere davvero impressionanti e, a dire il vero, un po’ faticosi. Siamo sulle Alpi Marittime ma il mare, quello di Menton, si vedrà quando oramai saremo in città, alle diciotto circa.
Soddisfatti, parcheggiamo la moto nel rimessaggio del nostro lussuoso hotel; ricordo che siamo in Costa Azzurra e nel vocabolario locale il lemma *economico* non esiste; prendiamo possesso della camera. Docce, ci sistemiamo con il meglio che il nostro oramai sgualcito guardaroba può offrire ed usciamo per una passeggiata a mare, per trascorrere il tempo in attesa della cena.
Cena lussuosa e squisita, con qualche froceria di troppo per i miei gusti ma tutto veramente buono e presentato, confezionato come se fosse un regalo ma vi assicuro che non era proprio gratis come un regalo, anzi! Purtroppo siamo costretti a cambiare vino, ma sempre rosè…
Venerdi 24 Giugno
Oggi è giorno di trasferimento puro, ci infiliamo in autostrada a Menton, qualche chilometro dall’hotel, ed usciremo a Sestri Levante dopo aver percorso tutta la Liguria o quasi, passando quella serie senza fine di gallerie e viadotti. Vento sostenuto al mascone di dritta, andiamo di bolina larga per tutto il viaggio, si fatica più che sul Galibier! Una sola sosta per rifornimento ed abbeveramento a base di acqua minerale fredda e si riparte, vogliamo uscire dall’autostrada il prima possibile.
I continui salti di carreggiata per lavori ci rallentano molto, però, ed anche l’intenso traffico sul tratto che attraversa Genova, ma finalmente arriviamo a Sestri Levante e possiamo varcare il casello tirando un sospiro di sollievo. Continuiamo senza fermarci, ora siamo sull’Aurelia che sale verso il Passo del Bracco; saliamo disinvolti e ci fermiamo solo davanti all’Osteria del Tagliamento e fra quattro chiacchiere con il proprietario ed un simpatico ex motociclista, fra un crodino ed una ciotola di patatine, attendiamo l’arrivo della moglie dell’oste, la cuoca.
Arriva ed in pochissimo tempo ci prepara delle trofie al pesto, rigorosamente fatti da lei sia le trofie che il pesto: ottimo piatto, da leccare il fondo. Arricchiamo con verdure ripiene io ed insalata Rob, addittivando con un quartino di bianco di Luni, frizzantino e fresco. In genere non beviamo alcoolici in viaggio, ma oramai siamo arrivati, siamo a soli 10 km dall’albergo, il quartino in due lo smaltiamo durante la lunga sosta al sole, seduti fuori dell’osteria.
Ultimo tratto, Passo del Bracco, sempre bello, e discesa su Borghetto Vara; camera, doccia e siamo di nuovo fuori; il resto del pomeriggio lo passeremo al bar, bevendo birra gelata con contorno di patatine e leggendo avidamente i giornali italiani. Ma è sempre la solita solfa, oramai siamo nauseati dalla politica e dai fatti di cronaca che sono sempre dello stesso tipo; leggiamo senza entusiasmo le pagine sportive e poi ci buttiamo sulla cronaca locale, decisamente più divertente: gli bucano una ruota e lo distraggono per derubarlo… titolone in prima pagina, fossero tutte così le notizie più drammatiche!
Cena, da sei meno meno, non entusiasmante in verità ma campiamo sul ricordo del pranzo.
L’ultima notte fuori casa, ci addormentiamo dopo aver preso la decisione di partire alle 8 e 30, domani mattina.
Sabato 25 Giugno
Invece alle 7 e 30 siamo già in sella, motore acceso, prima marcia innestata.
Il tempo di fare due rotatorie e siamo già al casello: autostrada fino a Livorno, o meglio fino a Rosignano.
Oggi evidentemente iniziano i turni di ferie in quanto già dal mattino presto l’autostrada è piena di auto infagottate fuori e ripiene dentro, tutte targhe del nord dirette al sud… E camion, in abbondanza. Ma arriviamo al casello senza intoppi, se non quello del casello stesso: 4 km di fila anche al telepass, dato che subito dopo c’è un imbuto che restringe drasticamente il piazzale e con una curva sopraelevata si immette sull’Aurelia. 4 km di coda, dunque, prima del casello e altri 2 subito dopo. Riesce difficile passare anche con la moto in quanto tutti gli spazi vengono riempiti come in una sorta di defrag. Poi comincia il delirio dell’Aurelia: cartelli che indicano limiti di velocità di 40, 60, 70 all’ora, rari tratti a 90 e non se ne ravvede la necessità, se non quella che invece giustificano i numerosi autovelox mobili piazzati quasi in serie, al massimo ogni 10 km ne vedi uno. Lo strazio dura fino a Civitavecchia, all’imbocco dell’autostrada, dove faccio esplodere la rabbia repressa, mia e della moto, e rapidamente siamo a casa, giusto in tempo per la partenza del MOTOGP di Assen.
In conclusione è stato un bel viaggio, molto interessante.
Le numerose regioni che abbiamo attraversato, Provenza, Camargue, Alta Provenza, Savoia ed Alta Savoia, Costa Azzurra, hanno tutte un carattere proprio, peculiare. Abbiamo ricevuto ciò che si spera da un viaggio, ovvero conoscere genti e posti diversi dal nostro abituale ma anche molto diversi nell’ambito della stessa Nazione. Il piatto ed acquitrinoso tavoliere della Camargue non solo stride a confronto delle Alpi, ma anche con la Provenza che è li, a pochissimi chilometri, così come la gente di montagna, della Provenza, è molto distante e diversa da quella che abita la Costa Azzurra.
La fatica c’è stata, così come l’impegno nella guida sulle Alpi e comunque nell’affrontare i 4.306 km complessivi di questo viaggio, ma siamo stati largamente ricompensati, felici di constatare che , ancora oggi, un minimo di sforzo può portare a risultati soddisfacenti.
Impegno che è iniziato prima del viaggio, con una preparazione meticolosa della moto, dei ricambi e degli attrezzi, dei particolari del nostro abbigliamento tecnico, della preparazione dei bagagli: non doveva mancare nulla di ciò che ci sarebbe servito e non dovevamo avere nulla di più di quanto necessitavamo.
Impegno nello studiare gli itinerari nel dettaglio, per trovare alternative in caso di eccessivo maltempo o inconvenienti vari, per sapere anche senza l’aiuto di Zio Tom o delle carte dove fossimo, in ogni momento; anche questo fa parte della sicurezza.
Molto hanno inciso, indubbiamente, la nostra esperienza nei viaggi lunghi, in moto o no, la voglia di andare e conoscere, vedere, la resistenza fisica e la volontà che ancora ci supportano.