Sabato mattina, ci incontriamo alla solita aera di servizio sul GRA: Freeblue e Annina, MrSergio, Lucilla e Ulysse. In verità c’è anche Daniela che, ancora dolorante alla spalla, non rinuncia però al piacere, suo e nostro, della rituale colazione babbaluca. Cara ragazza!
Si parte, direzione Flaminia, che percorreremo fino a poco dopo Rignano; poi ci immettiasmo su una piacevolissima strada immersa nella natura che, passando sotto Sant’Oreste e poi per Nazzano e Torrita Tiberina, ci porterà a Poggio Mirteto Scalo.
Da qui proseguiamo sulla 313 fino a prendere la deviuazione per Cottanello. E’ presto ma già fa caldo, molto molto caldo. Ci fermiamo al bar sulla piccola piazza di Cottanello, acqua ed un gelato ci rimettono in sesto; durante la sosta arriva un piccolo ma variopinto gruppetto di motociclisti, molto eterogeneo sia nelle persone che nelle cavalcature e non possiamo non notare che sono motociclisti a tempo perso.
Riprendiamo la strada, ma solo per fare quella pochissima distanza che ci separa dall’Eremo di San Cataldo, dove ci fermiamo per qualche foto.
Si riparte, ora che si sale un pò di quota il caldo è molto meno asfissiane e, addirittura, entrando nel bosco possiamo godere di una leggera frescura.
Come da accordi dovremmo fermarci a fare la foto di rito al Valico di Fonte Cerreto, ma con MrSergio alla guida non puoi pretendere tanto.
Gran motociclista, bella guida, efficace, instancabile, ci farei il giro del mondo in moto, ma non fatelo stare davanti! 🙂
Arriviamo a Rieti, vorremmo salire al Terminillo ma una gara automobilistica in salita ce lo vieta. Non ci resta che andare a prendere un tratto che avremmo dovuto fare al rientro e così saliamo per Cantalice, Poggio Bustone, Rivodutri e Morro Reatino. Qui incocciamo in un matrimonio, gente vestita che non si può vedere ma nel mucchio spicca una moretta…
Lasciamo stare, facciamo qualche altro chilometro e ci fermiamo presso una trattoria bar a prendere un pò d’acqua fresca, che il caldo ha ricominciato a farsi sentire.
Ora è la volta di percorrere la mitica 521, con la quale arriveremo sotto Leonessa; da qui prendiamo un percorso non molto battuto, che per campagne e monti ci porta alle porte di Norcia. Bel paesaggio, niente case se non rare e poco concentrate, nessun palazzone, traffico zero. Il fondo stradale non è dei migliori, ma questa strada merita davvero di essere percorsa in moto.
Alle porte di Norcia, dicevamo, Freeblue tira dritto per andare ad incrociare un distributore e così tutti, tranne MrSergio che ha la motocisterna, facciamo il pieno.
Adesso viene il bello, un paio di chilometri a ritroso e prendiamo la strada per Castelluccio.
Poco prima di arrivare in paese ci sono dei “commissari di percorso” che sbarrano la via: le auto non possono entrare, il parcheggio è pieno! Meno male, era ora!
Noi, in moto, possiamo proseguire ed arrivati in piazza, sorpresa! C’è ora un parcheggio fettucciato, sembra il parco chiuso di una gara di enduro… Moto parcheggiate ordinatamente, non più quel solito casino indescrivibile. Meno male, era ora!
Parcheggiamo anche noi, poi andiamo a raggiungere il bar-alimentari dove, seduti al fresco, gusteremo formaggi e salumi locali, con tanto di acqua minerale di una buona annata!
Caffè, qualche cazzatella al locale negozietto di souvenir e si riparte.
Lo scopo della gita sarebbe fotografare la fioritura, ma con il caldo che ha fatto ne resta ben poca. Comunque ci fermiamo nella piana, qualche scatto degno riusciamo a farlo. Si riparte, è la volta di Forca di Presta, c’è un affollamento di auto e camper parcheggiati in ogni dove; da qui parte il sentiero più comodo per il lago di Pilato. Sfliliamo in fretta, dopo il Valico la strada è semplicemente meravigliosa… Boschi, curve di tutti i tipi, paesi minuscoli… Percorriamo circa quaranta chilometri in questo scenario e poi siamo alla fine della strada, a Foce. Quattro case in croce, l’asfalto che ben presto si trasforma in strada bianca piena di pietre che tanto mi piace!
Parcheggiamo davanti alla locanda, molto spartana. Prendiamo possesso delle camere e, dopo una bella doccia, ci ritroviamo fuori per fare quattro passi e l’immancabile birra con patatine, nostro aperitivo preferito prima della cena.
Cena che si svolge nella classica atmosfera babbaluca, cazzate in pieno relax ed a ruota libera. Saltano agli occhi un paio di tavolate: la prima sono ragazzi, una decina; ce ne fosse uno che non ha il cellulare in mano, impegnatissimi a scambiare messaggi ognuno per conto proprio! Ma fra di loro non parlano, assoluto mutismo.
La seconda tavolata è composta da una famiglia composta da un padre, una madre, una probabile zia, quattro fanciulli di età variabile. Tutti, e dico tutti, con il cellulare in mano, anche loro impegnato in messaggerie varie, tranne il più piccolo che ha un iPad con il quale gioca a non so cosa. E’ veramente deprimente vedere queste scene, gente che si apre ai social, al mondo intero puchè sia virtuale, mentre le persone fisiche intorno a loro sono distanti, ignorate… Questi ragazzi cresceranno complessati!
Torniamo a noi: la cena qualitativamente non è il massimo, ma neanche possiamo gridare allo scandalo; tutto sommato ci possaimo alzare da tavola soddisfatti.
Qualche altra chiacchiera e ben presto si raggiungono le stanze per il meritato riposo.
La mattina dopo mi sveglio di buon’ora; scendo armato di reflex e vado a fare qualche scatto verso i pratoni che salgono al Vettore. C’è un ovile, bei cani pastori, di un bianco candido, stanno ancora dormendo; qualcuno, sentendomi, si alza e si stiracchia. Li fotografo.
Arriva il pastore, sulla irrinunciabile Panda 4×4, con un altro cane nel bagagliaio.
Appena entra nel recinto i cani si alzano e vanno ad aspettare due al cancelletto del recinto del gregge e due si appostano poco più avanti. Il pastore entra nel recinto delle pecore, armeggia un pò e poi, emettendo un suono gutturale irripetibile, ordina ai due cani di entrare e far uscire il gregge, compito che viene svolto immediatamente ed egregiamente.
Gli altri due cani pensano a far incolonnare le pecore e farle uscire dal secondo recinto.
I cani le spingono su una spalletta erbosa ed attendono; il pastore chiude il recinto, esce ed emette un altro suono, questo un pò più comprensibile: un AGGHIA’ ripetuto un paio di volte ed i cani immediatamente spingono il gregge in diagonale sul costone della montagna.
Il pastore sta per risalire in auto, seguito dal suo cane personale, ci scambiamo un saluto e gli chiedo: “adesso vai a raggiungere il gregge con l’auto?”
“No“, mi risponde lui “i cani sanno dove andare e quello che devono fare, riporteranno le pecore qui oggi pomeriggio alle cinque. Io vado a casa, ritorno qui alle cinque, pure io” .
Capito? questi cani sono impagabili, soldatini ligi al dovere di una affidabilità unica.
Ho avuto l’impressione, studiandoli, che ci fosse un capo cane o un cane capo che era quello che recepiva gli ordini; gli altri aspettavano sempre lui per muoversi ma ad osservarli bene si notavano due cose: il capo cane si muoveva un attimo prima dell’ordine, segno che sapeva già cosa gli sarebbe stato chiesto. Gli altri si muovevano un pò prima del capo cane, coem dei marinai che conoscono perfettamente la manovra da eseguire e non si azzardano a farlo immediatamente per rispetto della gerarchia.
Ritorno alla locanda, trovo gli amici già operativi, sistemiamo i bagagli, facciamo colazione e partiamo. Ci eravamo sentiti con Poldo, il quale ci avrebbe dovuto raggiungere in quel di Amatrice per mangiare qualcosa insieme ed insieme fare un pò di strada. Ma Poldo latita. Lo sentiremo più tardi, ci dirà che non sarà dei nostri.
Intanto, dopo una bella cinquantina di chilometri sempre fra boschi e luoghi ameni, raggiungiamo Arquata del Tronto; dopo una sosta la bar ci rimettiamo in marcia ed in breve siamo ad Amatrice.
Che ve lo dico affà? Trattoria, che già conoscevo. Tavolo, acqua e chiacchiere e la cameriera ci chiede “amatriciana rossa o bianca?” Ribadiamo “amatriciana rossa E bianca”. E così fu.
Qualche costoletta d’abbacchio per gradire e ci rimettiamo in marcia, a panza piena.
Trotterelliamo sgranocchiando chilometri e digerendo amatriciane.
Posta, la strada che porta a Leonessa è tanto bella quanto conosciuta, si fa sempre con gran piacere. Non saliamo al Terminillo, perchè se ieri c’erano le prove oggi ci sarà la gara, sicuro come il giorno che viene dopo la notte! Così è di nuovo SR521, ora in senso inverso.
Poi si scende verso Greccio, dove poco distante ci fermiamo ad una gelateria; si riparte, Monte Tancia è nostro, Poccio Catino, Poggio Mirteto, Passo Corese e fine della storia.
Qui prendiamo l’autostrada per evitare il caos della Salaria verso Roma ed in breve, dopo esserci fermati per i saluti, ognuno prende la strada per la propria casa.
Ancora una bella uscita, due giorni in allegria e in amicizia, aspettando la prossima.
Grazie Amici!